domenica 24 luglio 2011

Ricami (46): Saucisesses “Napoléon"



In questo inusualmente fresco fine luglio, la stampa locale e nazionale tornano ad occuparsi di Saronno, per l’ennesima boutade sindacale, per certo non motivata da un colpo di sole. 

Intimamente votata alla funzione didattica, questa volta la pròvvida ed illuminata Amministrazione transeunte, con amorevole atteggiamento per la popolazione, dispensa nuovi consigli per proteggersi dalle conseguenze del solleone, come già in inverno da quelle dell’inquinamento: un altro decàlogo deamicisiano, non privo di banalità e di inevitabili richiami all’almanacco di Frate Indovino, che introduce, tuttavia, una vera novità, che ha destato la curiosità dei giornali: le grigliate, il barbecue sono disdicevoli e da evitarsi, poiché cagionano ozono.
Orbene, assistiamo ammirati alla novella performance sindacale, la cui astrusità è pari alla saccenza con cui, viso serioso, viene propinata al retrogrado popolaccio, dedito alla cràpula di bistecche, costine e salsicce cotte su brace fumigante.
Sembrerebbe, a leggere le esortazioni dell’ìnclita Amministrazione, che a Saronno non si cucini in altro modo, che i fornelli siano caduti in desuetudine, sostituiti da pericolosi bracieri, come ai tempi in cui costì pullulavano i Galli preromani, che l’aria sia ammorbata da nubi di fumo grasso e sfrigolante per un generale asado collettivo.
La soglia del ridicolo è ormai superata alla grande, anche i 30 all’ora – altra nobile e didascalica pensata – impallidiscono.
Il Sindaco ci vuole virtuosi per bando; chissà se, coerente ed arcigno, quando si recherà la prima volta a Challans ricuserà di mangiare la saucisse de canard  alla brace, specialità locale cotta su fumiganti griglie… Lassù, c’è il gagliardo vento dell’oceano, sicché una grigliatina è del tutto innocua: assaggi dunque la salsiccia d’anatra, ribattezzata in suo onore saucisse Napoléon, e ci beva sopra un generoso bicchierino di cognac Napoléon: joie de vivre à la française, napoleonica come le ordinanze ed i bandi saronnesi, così quaresimali e puritani.
Il geniale Totò commenterebbe: "Ma mi faccia il piacere!".

lunedì 18 luglio 2011

Cammei (2): pietre che parlano, S. Maria extra moenia ad Antrodòco


Antrodòco, suono difficile per un luogo intatto a cavaliere tra Lazio ed Abruzzo, un ripido grumo di case di pietra che s’arrampicano sulla montagna, sull’antica via Salaria, bagnata dal limpido Velino.
Boschi a profusione che fanno da sfondo al cielo sereno, in una luce netta d’aria pulita, tra promettenti montagne; una piazza incantata, a cui convergono il corso e le strade lastricate, su cui si aprono portali scolpiti, sovrastati da ricchi balconi, variazione allegra di facciate sassose e severe, schiette come solo la gente di montagna sa essere.
Appena fuori l’abitato, in un grande prato ben tenuto, si erge Santa Maria extra moenia, chiesa antichissima, quasi millenaria (consacrata nel 1051), dallo splendido campanile, accostata ad un singolare battistero.
Nonostante le proporzioni contenute, il tempio – sorto in luogo già sacro all’epoca preromana – è di una bellezza sconcertante: di apparente facile lettura, per la rigorosa linearità dei volumi, è invece una fabbrica complessa, che va osservata (e gustata) lentamente, tante sono le sorprese che riserva a chi vuol perdersi per un po’ a ritroso nel tempo.
L’ho visitata di sera, mole illuminata da luce appropriata, sorgente dal prato e dalla terra, come ne fosse naturale continuazione: la pietra della facciata e delle pareti, ravvivata dal gioco del chiaro-scuro di timide lesene, da finestre irregolari, da deliziose decorazioni romaniche, da uno spettacoloso portale con un tralcio scolpito che rompe la monotonia della forma a capanna, sembrano parlare, aiutate dal soffio di un vento fresco e dalle note che provengono dall’interno, ove si teneva un gradevoleo concerto di giovani, bravi artisti.
Le pietre parlano anzitutto con i loro colori: dal grigio prevalente, al bianco, al rosso del mattone: elementi compositi, che danno effetti  decorativi impensati e rendono leggiadra e confidenziale un’architettura rigorosa: fantasia di materiali poveri.
Parlano di secoli lontani, in cui la fede dei semplici si nutriva con i coloratissimi cicli di affreschi interni, didascalico catechismo per chi non sapeva leggere e riconosceva la storia sacra nelle immagini tracciate da un devoto pennello (peccato che, nonostante i restauri, gli affreschi conservati siano pochi); parlano della fiducia con cui generazioni di queste genti , umili e senza fronzoli, si specchiavano nel Cristo dell’abside, raffigurato giovane, imberbe, mite ed accogliente con le braccia aperte in un abbraccio senza fine; parlano delle fatiche, dei dolori, delle speranze di chi si raccoglieva in preghiera davanti alla Madre di Dio, esaltata da colori vivaci e dalla porpora della regalità.
Parlano anche le pietre ed i diversi materiali dell’aereo campanile, che si alza solido nella sua struttura romanica, quasi appoggiato ad un venerando pioppo che lo accompagna in altezza: rimandano allo squillo delle campane, che hanno scandito per secoli le ore della giornata, dandole senso religioso, di percorso terreno teso ad una vita di eterna pace.
Pietre millenarie, che richiamano l’uomo d’oggi alla sosta dello spirito: davanti a tanta bellezza, la cui semplicità sorprende chi vive nella complessità quotidiana, si riscopre il filo sottile che ci lega a chi ci ha preceduto e ci dà tuttora una lezione di compostezza, di armonia, di gusto. Senza fretta, senza effetti speciali, con la povertà della pietra, che vive e travalica le mode fuggenti, questa chiesa preservata induce alla solidità del tempo, unisce la pietas cristiana all’humanitas di chi la sa ancora apprezzare.
Santa Maria extra moenia di Antrodòco: meraviglia tra le tante misconosciute di un’Italia perenne, del vero bel Paese.

martedì 12 luglio 2011

Sceriffi sdentati che belano e non ruggiscono


Il problema dei 30 km all’ora non sta nelle “multe”, almeno attualmente, poiché – a dire il vero – sembra che poche contravvenzioni siano state effettivamente contestate; il che di per sé non è confortante, perché dimostra incoerenza da parte dell’Amministrazione, che riconosce in tal modo o di non essere in grado di far rispettare coattivamente i propri provvedimenti o (il che sarebbe peggio) di non volerli fare rispettare sul serio, per non sollevare proteste incontenibili e pericolose (tutta una finta, insomma!).
Se l’Amministrazione decidesse di pigiare sull’acceleratore dei controlli e delle multe, i 30 all’ora potrebbero sì diventare una bella fonte di incasso, una tassa surrettizia sulle spalle dei cittadini.
Finora, come appena detto, così non è e suppongo che non lo diventerà mai, per non sfidare l’ira dell’opinione pubblica, già abbastanza esasperata da provvedimenti astrusi e non condivisi, ma imposti in modo velleitario.
È veramente ridicolo, quindi - per i canoni della logica - che si paragoni il divieto generale di superare i 30 km/h con l'installazione della rilevazione automatica degl'ingressi illegittimi nella ZTL del centro, introdotta a fine 2008 dopo adeguato e prolungato periodo di avviso e preparazione con risultati – all’inizio – davvero “stanganti” (dimostrazione che l’illegittimo ingresso nella Z.T.L. era un fenomeno di massa e di inciviltà, soprattutto di non Saronnesi), come si legge in acrimoniose e confuse dichiarazioni di una formazione appartenente alla maggioranza.
Sono due cose assolutamente diverse e disomogenee, che non c'entrano per niente l'una con l'altra; proprio anche nel metodo di rilevazione delle infrazioni: per la ZTL è TOTALE, AUTOMATICO E CONTINUATIVO (ed è servito a stroncare le intollerabili violazioni, soprattutto da non Saronnesi); per le zone a 30 (praticamente tutto il territorio cittadino) è MINIMAMENTE PARZIALE, EVENTUALE e SPORADICO: il livello di serietà è di gran lunga differente, anche nella coerenza.
Il paragone, dunque, è solo malizioso e depistante, come mettere insieme capra e cavoli: la platea dei controllati, in un caso, è totale; nell'altro solo occasionale e limitata. La logica cozza inesorabilmente con gli svarioni autogiustificativi. 
Non è nemmeno vero che l'opposizione si sia limitata a dire di no ai 30 km all’ora: nella Commissione Territorio il PdL (cui si è aggiunta U.I. con alcune varianti aggiuntive) ha addirittura presentato un piano alternativo per le zone 30, accompagnato da una precisa e dettagliata mappa della città con l'individuazione delle zone sensibili, in cui i 30 all'ora (per la sicurezza) sono indubbiamente utili.
Ovviamente, da parte chi puòte, tale proposta nemmeno è stata presa in considerazione (anzi, a quanto pare, è stata fastidiosamente dimenticata).
Per la ZTL,dunque,  il controllo è AUTOMATICO tramite telecamere fisse che elaborano addirittura il verbale, 24 ore su 24. Il controllo dei 30 all'ora è un'altra cosa, oggettivamente un'altra cosa, minima ed ininfluente, il belato di un agnellino piuttosto che il ruggito del duro leone-sceriffo: inutile ed irritante, valida soltanto come salvacoscienza di sdentati amanti del divieto.
Il 12 febbraio 2011, scrivevo: "Il problema dell’inquinamento, però, resta; non possiamo dipendere solo dalle evoluzioni atmosferiche; occorrono provvedimenti strutturali e generali, che coinvolgano tutte le Amministrazionicompetenti, a partire dalla Regione, alle Province, sino ai Comuni. Provvedimenti omogenei e coerenti, legati tra di loro; non inutili iniziative locali di mero effetto propagandistico, come nella nostra città" e sollecitavo un serio coordinamento con gli enti territoriali superiori (http://pierluigigilli.blogspot.com/2011/02/buona-notizia-il-pm-10-e-in-discesa-in.html), auspicando che ci si ragionasse insieme (http://pierluigigilli.blogspot.com/2011/02/ragioniamoci-sopra-tutti-insieme.html). D'altra parte, da che mondo è mondo, incombe anzitutto su chi governa risolvere i problemi: in modo serio e territoriale, non nei 10,5 kmq di Saronno.
Visti gli inesistenti riflussi benefici sull’inquinamento (che persiste sorprendentemente addirittura in estate) ed il tentativo di coprire con il demagogico manto della sicurezza un divieto dapprima spacciato con ben altra motivazione, non si stupisca  e non si lagni la maggioranza se i cittadini e le forze di opposizione ritornino con insistenza sui 30 all’ora: i toni, da parte di alcuni, saranno anche pittoreschi, ma la realtà sottesa rimane sempre la stessa; alla faccia dei depistaggi strumentali e dei paragoni con il costo della benzina ed ipotetici aumenti dell’IVA, la cui iniziativa non appartiene per certo né a comitati spontanei saronnesi, né alla formazione politica di cui faccio parte.
Con l’abuso, nemmeno tanto abile, della parola, sembra che si vogliano reintrodurre le viete convergenze parallele, geometricamente impossibili: nella variante delle divergenze parallele, però, che mettono insieme acqua ed olio; quest’ultimo, comunque, viene sempre a galla, come la verità.

sabato 9 luglio 2011

giovedì 7 luglio 2011

Abolire le Province


Unione Italiana promuove una proposta popolare di legge costituzionale per abrogare le Province: a partire da settembre, inizierà la raccolta delle almeno 50.000 firme di cittadini elettori, necessarie per la presentazione all'una o all'altra Camera della proposta stessa.
Ritengo l'iniziativa meritevole di successo, per una pluralità di ragioni, non soltanto economiche (notevolissimi risparmi), ma soprattutto pratiche e ricognitive della'antichissima tradizione italiana fondata sui Comuni.
Il venir meno di un ente territoriale intermedio, che impiega la maggior parte delle proprie risorse per mantenere il suo apparato burocratico-amministrativo, consentirebbe ai Comuni, in proprio o per delega regionale, di svolgere le identiche funzioni in modo sicuramente più vicino ai cittadini ed alle loro esigenze.
Ma v'è di più: se - come significativamente prevede l'art. 10 della proposta, cui non sono estraneo - l'indirizzo sarà quello di consentire ai Comuni di gestire insieme, in forma di aggregazioni spontanee, alcuni servizi, si darebbe un vero impulso al federalismo, autentico: non per obbligo di circoscrizioni provinciali rigide, ma per affinità, concordanza di obiettivi, tradizione, i Comuni potrebbero costituire entità "contrattuali" finalizzate di dimensioni medio piccole, anche per tempi limitati e definiti, sulla base di patti territoriali ad hoc, destinati alla risoluzione comune di alcuni precisi problemi; si sceglierebbero tra loro, a seconda delle necessità, purché all'interno di un'unica Regione, senza dover costituire nuovi apparati burocratici ed istituzionali. Starebbero insieme per reciproca convenienza, con risparmi di tempi, personale e denaro pubblico, sottoposti al vigile controllo delle loro popolazioni.
Quindi, ripartendo dalle comunità storiche originarie, i Comuni, orgogliose delle loro autonomie risalenti a secoli addietro, si potrebbe decisamente far evolvere la nostra architettura costituzionale verso nuove ed originali forme di  cooperazione tra Comuni e addirittura di fusioni volontarie (esistono troppi piccolissimi Comuni, di meno di 200-200 abitanti!), senza inutili sovrastrutture rappresentative, da grande costo e pressoché sconosciute ai cittadini.
Le province nacquero dai départements imposti dal centralista Napoleone quali  circoscrizioni  governative affidate ad un Prefetto, senza meditati e storici legami con un territorio omogeneo: basti pensare alla nostra città, Saronno, che - nonostante in tutto e per tutto graviti su Milano - costituisce dal 1927 una sorta di enclave della Provincia di Varese, a cui non è unita da alcun motivo storico-economico, relitto di confini tracciati con la penna su una mappa geografica, che ha condotto al vero e proprio dramma di un Comune, come il nostro, di soli 11 kmq, confinante con addirittura 4 Province (oltre a Varese, Milano, Como e da poco anche Monza e Brianza). 
Situazione che è fonte di enormi problemi amministrativi e ben lontana dalla realtà del c.d. "Saronnese", così com'è percepito dalla popolazione dei Comuni delle 4 Province che gravitano, appunto, su Saronno per molti servizi (sanitari, scolastici, amministrativi, commerciali); situazione assurda, come, p.es., per la gestione del ciclo integrato delle acque: Saronno appartiene al bacino imbrifero del torrente Lura, ma sulla base della normativa è costretta a far parte dell'ATO della Provincia di Varese, con cui non ha nulla a che spartire, mentre, insieme ai Comuni Comaschi rivieraschi del Lura, da anni aveva spontaneamente dato vita a Lurambiente per la gestione comune della depurazione per il bacino di utenza ideale per l'erogazione e per il coordinamento di questo servizio; per non dire del trasporto pubblico interurbano!
Gli esempi potrebbero essere citati a iosa; ma mi fermo qui, per ora.
Di sicuro, in un'epoca in cui tutti si sciacquano la bocca con la fatale parola federalismo, l'abolizione delle Province (inutile livello territoriale costoso e fonte di spesa) ci porterebbe per mano, tramite il sano decentramento, all'attuazione dei princìpi federalistici di natura non solo fiscale, ma soprattutto di responsabilizzazione delle popolazioni e dei loro rappresentanti elettivi e di corrispondenza tra istituzioni territoriali e tradizionali ripartizioni popolarmente sentite.
Nonostante il caldo estivo, prepariamoci, dunque, dopo le vacanze, ad uno sforzo popolare e genuino per segnalare, con una firma, la volontà di riforma del nostro sistema, visto che lo scorso 5 luglio la Camera dei Deputati ha rigettato due proposte di legge costituzionale per l'abrogazione delle province presentate da Italia dei Valori e da U.D.C.: contrari P.D.L. e Lega, astenuto il Partito Democratico (né carne, né pesce: ma sostanzialmente contrario).
A presto!

martedì 5 luglio 2011

Lo sfregio al "Ponte della Vittoria"

Nella mia breve postfazione al pregevole  volumetto “Il Ponte della Vittoria”, dell’Architetto Alessandro Merlotti, 2008, edito a cura del Circolo Culturale “Il Tramway” in occasione del XC anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale, dopo aver chiosato, in una nota, che il Comune, in collaborazione con il circolo, aveva pure coniato una medaglia celebrativa in bronzo ed argento, in coincidenza con il completo restauro delle ringhiere in metallo del ponte e del sottopassaggio, sotto la vigilanza della Sovrintendenza ai Beni Culturali della Lombardia e che il ponte scavalca il sottopasso di Via Primo Maggio e mette in collegamento Viale Rimembranze con Via General Cantore, realizzato nel 1932, nell’ambito del progetto di riorganizzazione urbanistica e viabilistica della ferrovia e del Viale del Santuario, scrivevo:
"Nato per avventura in Corso Italia, sin da bambino ho appreso dai miei il nome del bel ponte che attraversa il noto sottopassaggio: ponte della Vittoria, a memoria di Vittorio Veneto, battaglia conclusiva della Prima Grande Guerra , che il 4 novembre 1918 vide l’Italia vincitrice e compiuta nella sua unità.
Temo di essere stato uno dei pochi a conoscere questa denominazione, che non ha  resistito al decorso degli anni, come  - purtroppo -  l’originaria forma del ponte stesso,  malaccortamente ampliato negli scorsi anni ’80. Tanto ignoto il nome che quando, si decise di restaurane le pregiate strutture in ferro, raccolsi sguardi stupiti di chi  mi sentiva, appunto parlare del “ponte della  Vittoria”; “chi è costui?”, per parafrasare il Carneade del Manzoni.
Oggi il ponte, recuperato da una fine opera di restauro delle balaustrate - che nel loro piccolo rappresentano un esempio di grande perizia dei fabbri di allora -, si appresta ad un altro intervento, che con idonea pavimentazione -lo renderà ancor più fruibile ed esteticamente gradevole.
A completamento, come per le altre opere pubbliche significative, due formelle di bronzo, con lo stemma della città e la denominazione, saranno apposte nell’occasione del XC Anniversario della Vittoria, che ricorre proprio quest’anno.
Si riapre, così, il corso della nostra storia piccola anche per il ponte della Vittoria, che – mi auguro – nella sua forma solenne, tornerà a far parte della nomenclatura popolare, senza più essere ….un Carneade qualsiasi".
Oggi apprendo con orrore che una colata di cemento ha sommerso per almeno 20 cm. le strutture della balaustrata in ferro e ghisa, restaurate appena quattro anni fa, con una spesa molto ingente, secondo le indicazioni della Soprintendenza e dopo aver faticato anni per reperire un fabbro artigiano capace di riprodurre l'originale, pregiata ferrata.
Non riesco nemmeno ad immaginare chi possa aver consentito uno SCEMPIO simile, anche per mera omissione di vigilanza sui lavori in corso: non si sanno più nemmeno misurare le quote?? Il progetto originario delle opere suddette, che noi approvammo e che gli attuali Reggitori hanno ovviamente voluto stravolgere, non prevedeva una consimile barbarie! 
E dire che qualche giorno fa il Sig. Sindaco, magna pompa et more solito, era intervenuto in loco per inaugurare due targhe con il nome "Ponte della Vittoria", volute dal Circolo del Tramway (a proposito, che fine avranno fatto le due formelle tonde di bronzo con lo stemma del Comune, l'anno MMVIII e l'indicazione "Ponte della Vittoria", nel 2008 collocate nel mezzo del ponte al termine del restauro dei parapetti??):
Un esempio clamoroso e sconcertante di superficialità e di spreco di risorse pubbliche, spese solo 4 anni fa per un rigoroso e filologico lavoro di restauro e di recupero.
Intollerabile!
Attendiamo svelte e concrete azioni di ripristino; altrimenti, al di là della beffa, non resterà che ricostruire l'accaduto e le responsabilità, a costo di ricorrere alla Corte dei Conti e alla Soprintendenza ai Beni Culturali della Regione Lombardia.

Cammei (1): i papaveri della Verna


Di ritorno da San Sepolcro, aretina ai confini con l’Umbria, l’Emilia Romagna e le Marche, una voluta digressione mi condotto alla Verna, sacro luogo dove San Francesco ricevette le stigmate.
Salita  una strada sinuosa e solinga, tra sterminate quercete e abetaie, il complesso monastico spunta a sorpresa nel bosco: edifici di pietra rustica, corridoi labirintici tra ombrosi chiostrini, in un provvisorio percorso per i restauri in corso, mi reco dapprima alla cappella dove il Santo raccolse il Segno divino nella sua carne; silenzio, timido sussurro di orazioni; poi la cappellina di Sant’Antonio da Padova, il vertiginoso balcone a scalinata rivolto all’infinito paesaggio collinare così leonardesco e all’orrido dell’abisso, dove il diavolo rapì e gettò invano San Francesco; il suo “letto” scavato nella roccia d’una grotta.
Lascio per ultimo il Santuario, bella fabbrica ad una navata, in parte circondato da un portico, dove sosto tra le reliquie – il saio del Santo, il suo cordone, il suo bastone – e guardo le grandi ceramiche dei Della Robbia, di una bellezza sublime: i volti di Maria e dell’Angelo dell’annuncio hanno un profilo senza tempo, figure trasfigurate dalla mano d’artista e convertite nel bello assoluto. Anche nella cappella del Ss. Sacramento sorprendenti opere dei Della Robbia, policrome, decorate da allegri festoni di frutta e fiori, simbologia pagana che qui si piega alla storia sacra.
Finalmente, esco e mi siedo sotto il portico, su una panchetta, abbagliato dal lastricato perfetto della notevole piazza digradante davanti al Santuario, ideale terrazza che mette in comunicazione la terra e il cielo, da cui lo sguardo si perde in un orizzonte che sembra non avere fine.
L’occhio corre interessato alle lapidi che raccontano la devozione dei grandi e dei piccoli per San Francesco, parole scolpite in elegante latino, che leggo cercando di immaginare con quale fatica si giungesse colà nei secoli scorsi.
Ma poi, in questa distesa di pietra, lavorata da mani sapienti e così ben mantenuta, in questa monocromia delle tonalità d’un grigio quasi ossessivo, riflesso pure nel bigio del cielo, mi avvedo di un piccolo gruppo di papaveri, come raccolti in un agreste, semplice mazzetto, che spunta vigoroso tra i sassi ai piedi di un pilastro del portico: il rosso acceso dei fiori, con il verde brillante del suo fogliame, spicca come una lama di luce nella notte più buia.
Fiori spontanei,  trionfo della natura in un posto mistico, ordinato e perfetto:  indugio a pensare quanto sarebbero stati graditi a San Francesco, che nella natura, appunto, vedeva la manifestazione panica della Creazione: nei fiori di campo, come negli animali, lui che sapeva parlare agli uccelli ed ammansiva il lupo, che cantava come sorelle l’acqua , la luna e la terra, insieme al fratello sole.
Papaveri di porpora: nessuna mano ha tessuto una livrea così bella; petali fragili, umili e leggeri.
Mi hanno fatto vivere, nel lento soffiare del vento, nell’atmosfera silenziosa, un momento di rara poesia, di mente rivolta verso l’alto: l’emozione di me pellegrino fortùito nel romitaggio di Francesco, che continua a parlare e a sedurre, anche attraverso effimeri fiori rossi, nel grigio apparente della vita.

sabato 2 luglio 2011

"Il Villaggio dei Liquori" ad Antrodòco (RI) con "Licor"


Dal 15 al 17 luglio 2011, si terrà ad Antrodòco (RI) la seconda edizione della manifestazione dell'Associazione "Licor" intitolata "Il Villaggio dei Liquori". Il ricco programma, l'amena località, il felice periodo fanno confidare nel successo dell'evento, a cui parteciperà anche il Comune di Saronno, socio fondatore di "Licor".