domenica 26 febbraio 2012

Saronno Castor supercampione d'Europa nel tchoukball

Ennesima grande prova della compagine saronnese
A Lázně Bělohrad (Repubblica Ceca), la squadra del Saronno Castor conquista per la terza volta la coppa europea dei campioni di TCHOUKBALL!!!

giovedì 23 febbraio 2012

Ipse dixit (10)


Esternazione del Sig. Sindaco (da Varesenews): «È inutile che alcune città isolate prendano provvedimenti come le domeniche a piedi. Certo, serve per sensibilizzare i cittadini e lo faremo anche noi, ma per fronteggiare l’emergenza inquinamento serve una regiaRuolo che può assumersi solo la Regione, con le sue competenze. Ormai siamo a livelli dove non si può più stare a guardare. L’idea sarebbe addirittura che più regioni facessero il loro dovere e adottassero provvedimenti comuni. Personalmente sto ancora aspettando delle risposte su questo tema da parte di Formigoni». 
Il 28 novembre 2011, nel nostro piccolo, scrivevamo:

“Non possiamo fare i Don Chisciotte, serve una regia contro il problema”,così dichiara il Sig. Sindaco alla stampa in merito alla grave situazione dell’inquinamento.
Ha pienamente ragione: come anche noi lo sosteniamo da anni, il problema è strutturale e misure generali sono le uniche che, seriamente, potrebbero condurre a qualche risultato; il singolo Comune ha le mani legate.
Può, quindi, contare sulla nostra attenzione, il Sig. Sindaco; ad una condizione, però: che, per non far apparire Saronno come il regno indiscusso dei don Chisciotte, si decida finalmente a revocarel’inutile, odioso ed ideologico provvedimento che limita a 30 km all’ora la velocità dei veicoli in pressoché tutta l’indistinta città.
Provvedimento che l’attuale congiuntura dell’aria dimostra essere del tutto privo di efficacia sui PM10 e sugli altri inquinanti, salvo che perla pubblicità diretta ed indiretta che questa maggioranza ci ha lucrato sopra.
Rimosso il provvedimento com’è oggi, tutti i Gruppi Consiliari d’opposizione sarebbero sicuramente disponibilissimi (come hanno già provato con proposte concrete) a rivedere il sistema dei 30 all’ora, per ricondurlo a seria misura di sicurezza per le zone più sensibili; come pure sosterrebbero il Sig. Sindaco in una battaglia per la salute di tutti, nei confronti degli altri, più potenti ed importanti Enti superiori.
Saprà, il Sig. Sindaco, re melius perpensa, passare dagli allarmi e dalle lamentele all’ascolto delle migliaia di persone che invocano un passo indietro? Se sì, ci farebbe un bel regalo di Natale, a costo quasi zero (la segnaletica, ormai, è stata frettolosamente posata) e darebbe prova di ammirevole capacità di riflessione.

Finalmente, se n’è accorto anche LUI. 
Ma noi stiamo ancora aspettando una Sua risposta sul divieto dei 30 all’ora, la cui inutilità è ormai comprovata al di là di ogni ragionevole dubbio in tema di inquinamento.
Si vede che gli piace interpretare Don Chisciotte: in effetti, Gli riesce egregiamente. 

La grande gabbia



Da Varesenews:«I parcheggi gratis non sono più sostenibili». Con queste parole il sindaco Luciano Porro spiega il provvedimento che è stato adottato dalla Giunta sul rifacimento della gestione dei parcheggi della città. Con la recente delibera sono infatti due le novità adottate. La prima è che non ci saranno più parcheggi gialli per i residenti, ma diventeranno tutti a pagamento, con un pass per i residenti. «Questo perché è ora di finirla coi pendolari che parcheggiano dove vogliono – aggiunge Porro -. Chi viene da fuori deve pagare». La seconda novità riguarda anche due parcheggi come piazza dei Mercanti e quello dell’ospedale. Entrambi non saranno più liberi ma diverranno a pagamento, con un abbonamento speciale per i pendolari”.
Con espressioni taglienti e da snob riservate ai pendolari – evidente capro espiatorio per deviare l’attenzione e colpevoli di andare a lavorare -, il Reggitore cittadino emette un altro provvedimento di divieto, termine che pare proprio piacergli. Infatti, il suolo pubblico – a quanto pare di capire – diventa tutto a pagamento per la sosta.
Dunque, esclusi i pass per i residenti (ovviamente non gratùiti), il parcheggio sarà pressoché solo dietro corresponsione di un balzello, sebbene differenziato a seconda delle zone (più o meno vicine al centro).
Un altro provvedimento fortemente punitivo e costoso che, partendo dall’esigenza di tutelare i Saronnesi dai non Saronnesi-pendolari (ma Saronno non era la città dell’accoglienza?), sottopone anche i Saronnesi ad un nuovo onere; parcheggiare sarà un lusso, alla faccia della libertà di movimento, riconosciuta dalla Costituzione.
Una tassa in più, che ci costringerà a stare in casa o ad emigrare altrove – anche solo per fare shopping -; oppure… a muoverci solo a piedi o con il velocipede (come tanto agogna l’ìnclita, educativa Amministrazione); i benefìci per il centro commerciale naturale del nostro centro saranno meravigliosi…
Non è una soluzione, è soltanto un’altra maniera di fare cassa, con l’ennesimo divieto che finisce per colpire tutti e rende Saronno irraggiungibile ed intransitabile.
Per i pendolari, non sarebbe stato meglio cercare di concordare con i Comuni contermini non muniti di stazione la creazione di un trasporto a navetta, che nelle ore di punta conduca i non Saronnesi alla stazione ferroviaria? Basterebbe ricalibrare il trasporto pubblico urbano ed estenderlo di una fermata ad Origgio, Uboldo, Solaro, ove raccogliere i pendolari diretti alle FNM. Oltretutto, in questo modo, si ridurrebbe sensibilmente il numero di vetture parcheggiate in città (con la liberazione di molti posti e maggiore facilità di rotazione nella sosta) e soprattutto quello delle vetture dirette a Saronno, con intuitivi benefici.
Non è fantascienza, UNIONE ITALIANA lo ha proposto nel suo programma elettorale del 2010 (pag. 44); anche i Comuni confinanti avrebbero tutto l’interesse ad un’organizzazione simile, dai costi relativi, in parte a carico degli utenti con il biglietto.
Si è preferito rendere Saronno una grande gabbia, la gabbia dei 30 all’ora (di cui l’inquinamento si fa un baffo) e, ora, la gabbia dei parcheggi.
Dobbiamo attenderci, come a Cagliari, la tassa sull’ombra proiettata dalle insegne dei negozi? In fondo, sarebbe coerente con la filosofia dell’autorità educante dei nostri – pur sempre provvisori – Reggitori.
Coerente pure con la smania di imporre nuovi balzelli, iniziata alla grande dal Governo del Prof. Monti; ma Lui, almeno, indossa sobriamente il loden,  i Nostri nemmeno quello.

venerdì 17 febbraio 2012

Falsi o ignoranti?


Ritorniamo sul falso problema dell’ICI.
La lettura dei giornali odierni e delle agenzie-stampa , l’ascolto delle notizie dei tele e radio-giornali è sconfortante. Tutti, all’unisono, con una semplificazione sospetta, parlano indistintamente di ICI sui beni del Vaticano (o, tutt’al più, della Chiesa – cattolica, scil.) ed esprimono soddisfazione per la prossima abolizione di un presunto privilegio. Unica eccezione: “Avvenire”.
Il linguaggio dovrebbe essere, evangelicamente, sì sì – no –no. Ammonimento del tutto dimenticato.
Infatti, come abbiamo tentato di illustrare ieri, l’esenzione dall’ICI NON riguarda solo i beni immobili ad uso non commerciale della Chiesa cattolica, ma anche quelli di proprietà di altre Culti religiosi acattolici dotati di intesa con lo Stato italiano ex art. 8 della Costituzione e quelli afferenti al patrimonio degli enti no profit di qualsiasi genere (laici, laicissimi e di ispirazione religiosa).
Questa è la verità inoppugnabile, che è provata dalla legislazione attuale, consultabile da tutti.
Invece, per ignoranza o per maliziosa falsità (temo un mix di entrambi, con il condimento della supponenza), giornalismo stampato e radiotelevisivo continuano imperterriti a denunciare (che coraggio!) il privilegio del Vaticano e della Chiesa cattolica.
A parte il fatto che il Vaticano non è la Chiesa cattolica, ma uno stato sovrano, il privilegio, se così lo si vuol definire, è attribuito a molti altri enti benemeriti acattolici, che fanno del servizio no profit la loro ragione di vita: servizio che spesso supplisce  ad evidenti carenze dello Stato.
La Corte Costituzionale ha dato la definizione della laicità secondo le norme della legge fondamentale, in virtù della quale l’ordinamento italiano ha una visione peculiare in materia, con un profilo originale; il principio di laicità «implica non indifferenza dello Stato dinnanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale» giacché «l’attitudine laica dello Stato-comunità risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di estraneità, ostilità o confessione dello Stato persona, o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla religione o ad un particolare credo, ma si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini » (C. Cost.,  sent. n. 203/1989).
Lo Stato, dunque, nell’ambito di una separazione collaborativa rispetto ai culti organizzati, riconosce con favore la religiosità quale aspetto sociale-comunitario e aggregativo, meritevole di attenzione per la sua valenza collettiva; la Repubblica, quindi, nel tutelarla, non fa che riconoscere la personalità dei cittadini e favorirne lo sviluppo; lo stesso vale per altri fenomeni aggregativi non religiosi (come le onlus e gli enti no profit), che concorrono – insieme allo Stato – al benessere dei cittadini in settori ben precisi (attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive di natura non commerciale), ritenuti meritevoli  per questo di agevolazioni fiscali.
Ma i c.d. laici (inclusi i laicisti) conoscono la Costituzione ed i suoi princìpi? Sembra proprio di no, la ignorano selettivamente, salvo sciacquarsi la bocca con lo spirito costituzionale quando fa loro comodo (massime il 25 aprile...).
Allora, la questione dell’ICI, oggi così di moda anche tra improbabili moralisti guitti tele-canori, è un falso problema, dietro il quale si nasconde l’inesausta polemica anticlericale e libertina, che si supponeva fosse stata relegata nei bauli polverosi di una storia sorpassata.
Evidentemente non è così: il rischio di buttare via il bambino con l’acqua sporca è sempre più concreto.
Si sappia, tuttavia, che – nonostante le pelose mistificazioni ed il terrorismo demagogiconon praevalebunt e la Chiesa Cattolica, come le altre Chiese e gli enti no profit continueranno la loro missione umanitaria, spesso sostitutiva di uno Stato latitante: alla faccia dei chiacchieroni laicisti non informati e disinformatori, che non si sono mai misurati in attività di servizio e campano di populismo.
Anticlericali? No, grazie.

giovedì 16 febbraio 2012

Un falso problema


Da “Repubblica”  di oggi: Il presidente del Consiglio Mario Monti ha comunicato al Vicepresidente e commissario per la concorrenza della Commissione europea, Joaquin Almunia, l'intenzione del governo di presentare un emendamento in merito all'esenzione dall'imposta comunale sugli immobili riservata agli enti non commerciali, quindi anche alla Chiesa. In sostanza, la Chiesa pagherà l'Ici su quegli immobili in cui si svolgano attività commerciali. In caso di attività "miste", pagherà l'imposta sulla frazione dell'immobile dedicata ad attività commerciali”.
Dalla Stampa odierna: “Il presidente del Consiglio sceglie il sito di Palazzo Chigi per rendere pubblica la decisione. Questi i criteri che saranno seguiti: «L’esenzione fa riferimento agli immobili nei quali si svolge in modo esclusivo un’attività non commerciale; l’abrogazione di norme che prevedono l’esenzione per immobili dove l’attività non commerciale non sia esclusiva, ma solo prevalente; l’esenzione limitata alla sola frazione di unità nella quale si svolga l’attività di natura non commerciale; l’introduzione di un meccanismo di dichiarazione vincolata a direttive rigorose stabilite dal ministro dell’Economia e delle Finanze circa l’individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali esercitate all’interno di uno stesso immobile. Il presidente Monti auspica che l’iniziativa del governo permetta alla Commissione europea di chiudere la procedura aperta nell’ottobre 2010»”.
Giubilo da parte di chi, soprattutto nel web, ha recentemente innescato un’astiosa polemica nei confronti della Chiesa Cattolica, accusata di essere privilegiata nei confronti dell’imposta ICI, da cui sarebbe esente, con il conseguente auspicio di assoggettamento della Chiesa all’imposta stessa, da cui dovrebbero derivare entrate per centinaia di milioni di euro.
Si tratta di un falso problema:
1)        1)  Non è vero che la Chiesa cattolica goda di un privilegio; l’esenzione dall’ICI, infatti, riguarda tutti gli enti non commerciali, ossia un’amplissima categoria di soggetti non ecclesiastici, tra cui anche quelli ecclesiastici di confessioni diverse da quella cattolica (basti confrontare le intese tra Stato italiano ed alcune religioni acattoliche). La norma applicabile, l'articolo 7 lettera i) del decreto legislativo 504 del 1992 non parla in alcun punto di Chiesa cattolica, né di enti ecclesiastici. Per l'individuazione dei soggetti agevolati, questa norma fa riferimento ad una norma del Testo unico delle imposte sui redditi (e in particolare agli immobili utilizzati dai «soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lett. c, del Testo unico delle imposte sui redditi e successive modificazioni»). Questa, nella nuova numerazione del Testo unico è l'art. 73, lett. c), dispone: «gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali». Quindi, gli agevolati non sono soltanto la Chiesa cattolica e gli enti ecclesiastici, ma tutti i numerosissimi enti non commerciali: tutti gli enti non profit, le Onlus, il cosiddetto Terzo settore, ossia tutti quegli enti che abbiano una riconosciuta valenza sociale, come tale meritoria di agevolazione da parte dello Stato.
2)  2) Più in particolare, l’articolo 7, comma 2-bis, del D.l. 30 settembre 2005 n. 203 (convertito con modificazione dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, così come sostituito dall’art. 39, comma 1, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modifiche, nella legge 4 agosto 2006, n. 248 (c.d. decreto Bersani) stabilisce che «l’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 504 del 1992, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale»; l’art. 7, comma 1, lett. i, del d. lgs. n. 504 del 1992 così recita: i) gli immobili utilizzati dai soggetti di cui  all'articolo  87, comma 1, lettera c), del  testo  unico  delle  imposte  sui  redditi, approvato con decreto del Presidente  della  Repubblica  22  dicembre 1986, n. 917, e successive  modificazioni,  destinati  esclusivamente allo   svolgimento   di   attività   assistenziali,   previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative  e  sportive, nonché delle attività di cui all'articolo  16,  lettera  a),  della legge 20 maggio 1985, n. 222”; l’art. 16, lett. a) cit. è contenuto nella legge di ratifica dell’Accordo di Villa Madama del 14 febbraio 1984, comportante la modifica consensuale del Concordato tra l’Italia e la Santa Sede e così dispone: Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque:  a) attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana”.
3)          3) Riassumendo: l’esenzione dall’ICI compete quando si tratti a)  (requisito soggettivo) di un ente tra quelli espressamente indicati dalla legge (quindi Chiesa cattolica, culti acattolici dotati di intesa ex art. 8 Costituzione e connessi enti ecclesiastici, nonché tutto il c.d.  no profit); b)  che svolga (primo requisito oggettivo) una delle otto attività identificate come meritorie [assistenziali,   previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative  e  sportive, nonché delle attività di cui all'articolo  16,  lettera  a),  della legge 20 maggio 1985, n. 222]; c) che non abbiano esclusivamente natura commerciale (secondo requisito oggettivo).
4)      Conseguentemente, l’ente ecclesiastico cattolico o acattolico con intesa che svolga attività diverse  da quelle di religione e di culto o da quelle meritevoli (assistenziali,   previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative  e  sportive) è soggetto, per tali attività (p.es. quelle commerciali o a scopo di lucro), all’applicazione dell’imposta ordinaria, senza agevolazioni (p.es.: su un bene immobile dato in locazione ad uso abitativo e/o commerciale, si paga integralmente l’ICI); si veda Cass. civ., sez. trib., 23-03-2005, n. 6316, secondo cui, appunto, “Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che, in aggiunta alle attività istituzionali loro proprie di culto e religione, si occupano anche di attività diverse da quelle di religione o di culto, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, sono soggetti alle ordinarie disposizioni tributarie”.
Altra cosa è l’elusione, che è un aggiramento patologico della norma; è di tutta evidenza che l’elusione, al pari dell’evasione, ove accertata, debba essere rigorosamente repressa.
Ed è proprio in questo senso che l’annunciato provvedimento governativo si muove: l’abrogazione di norme che prevedono l’esenzione per immobili dove l’attività non commerciale non sia esclusiva, ma solo prevalente; l’esenzione limitata alla sola frazione di unità nella quale si svolga l’attività di natura non commerciale; l’introduzione di un meccanismo di dichiarazione vincolata a direttive rigorose stabilite dal ministro dell’Economia e delle Finanze circa l’individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali esercitate all’interno di uno stesso immobile: si tratta, come si vede, di precisazioni e puntualizzazioni che rendono più certo e sicuro il sistema, sia nella fase definitoria, sia nella fase accertativa, e tendono a chiarire in modo limpido le situazioni miste, che vedono la coesistenza nello stesso compendio immobiliare di attività meritevoli ed attività commerciali, così da eliminare anche un facile contenzioso.
Se, dunque, le intenzioni governative sono condivisibili, altrettanto è a dirsi delle osservazioni della Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.), il cui portavoce, Mons. Domnico Pompili, ha così commentato: «Attendiamo di conoscere l’esatta formulazione del testo così da poter esprimere un giudizio circostanziato. Come dichiarato più volte, anche di recente, dal Presidente della Cei, Card. Angelo Bagnasco, ogni intervento volto a introdurre chiarimenti alle formule vigenti sarà accolto con la massima attenzione e senso di responsabilità. Ci auguriamo  -  soffermandoci sulle ragioni dell’esenzione - che sia riconosciuto e tenuto nel debito conto il valore sociale del vasto mondo del no profit».
Insomma, per non rincorrere facili ed ingiuste polemiche, cerchiamo di evitare di buttar via il bambino insieme all’acqua sporca.

lunedì 13 febbraio 2012

domenica 12 febbraio 2012

L’Amerikano-germaniko


L’Uomo-in- loden, sbarcato in America, è stato accolto con onori trionfali e gratificato da una copertina dell’(ovviamente) autorevole TIME. Il presidente Obama, con un occhio peloso per il determinante voto degli italo-americani alle vicine elezioni presidenziali, lo ha definito un razzo ed è stato prodigo di elogi e di incoraggiamenti, vaticinando magnifiche sorti all’alleanza USA-Europa. Accolto come uomo della Provvidenza in ogni luogo, dalle università, ovviamente prestigiose, a Wall Street: nel tempio del capitalismo e delle liberalizzazioni selvagge, dove è iniziata la crisi mondiale causata dalle spericolate manovre di carta di speculatori americani senza scrupoli, pare abbia addirittura convinto la Borsa.
Un successo strepitoso, esaltato con punte esornative dalla stampa e dalle televisioni italiche, il cui atteggiamento genuflesso ricorda l’attitudine servile e la piaggeria del Ventennio.
Dunque, l’Amerikano-germaniko (la Francia del periclitante Sarkozy non è più à la page) salverà l’Europa?
Probabile. Ma a beneficio di chi? Degli Europei tout-court  o delle Borse americano-tedesche? Agli Americani un'Europa in in ginocchio non fa comodo...
Si dice che, secondo i sondaggi, l’Uomo-in- loden goda di straordinaria popolarità tra gli Italiani; effettivamente, un’abilissima capacità comunicativa (come il prezzemolo, Lui è presente ovunque alla TV e i giornali ne descrivono ogni minima azione in toni elogiativi; mancano solo le maiuscole…), l’aurea di tecnico competente (‘o professore), la sobrietà incarnata, i sorrisi della Merkel, le pacche dell’Obama, i silenzi dei partiti in stato comatoso, l’italica tendenza all’omaggio verso il potente di turno concorrono potentemente a creare il consenso: oltretutto, non si vede un'alternativa credibile.
Tuttavia, gli Italiani non hanno ancora sentito (o lo hanno sentito poco, peraltro scambiato per aumenti dovuti al gelo…) il morso delle nuove tasse: quando pagheranno l’IMU e vedranno l’IVA al 24% - cioè tireranno dalle tasche tanti soldi, capiranno…  Capiranno che la manovra salva-Italia ha colpito nel mucchio, ma ha lasciato intatti i veri poteri forti, a partire dalle banche e da altre lobbies così care a questo Governo, e che le liberalizzazioni sono uno spolveratina demagogica, che non tocca i veri monopòli…
Ma allora sarà già estate, farà caldo, arriveranno le vacanze e il generale agosto sopirà tutto…
La politica è impotente, squassata da nuovi scandali e dalla mancanza di posticini al Governo; si è ridotta a discutere di riforma della legge elettorale, argomento di grandissima attualità e primaria importanza.
Vani esercizi di chiacchiere; tanto…, al di là delle smentite, le elezioni del 2013 saranno inutili; l’Uomo-in- loden – personalmente o tramite qualche suo ministro – è destinato a governarci ancora, col beneplacito di partiti imbelli e timorosi, che ne saranno fagocitati in nome del supremo interesse a rieducare gli Italiani.
Evidentemente, siamo tutti dei minus habentes.

venerdì 10 febbraio 2012

Esodo e foibe: perché farne memoria


Ricordo ancora quando, nel morente agosto del 1999, insieme a mia moglie ed ai miei figli, ci spingemmo sull'altopiano carsico, sopra Trieste, alla ricerca del monumento alle foibe di Basovizza, che solo nel 1992, dopo un iter amministrativo defatigante, erano state dichiarate monumento nazionale; solo nel 1991 Francesco Cossiga, Capo dello Stato, vi si recò ufficialmente: fu il primo Presidente della Repubblica, oltre 40 anni dalla tragedia che colpì gli Italiani di Trieste, della Venezia Giulia, dell'Istria, della Dalmazia e del Quarnaro.
Il luogo è di una bellezza struggente, un immenso prato, interrotto da rocce e macchie di conifere, battuto dal vento, che porta il profumo del mare vicino. Un sito solitario ed austero, sospeso tra terra e cielo, silenzioso e quasi lunare, dove l'unica voce è quella del vento, che pare salire dalle profondità della pietra, nei cui anfratti riposti migliaia di Italiani - proprio perché Italiani - erano stati gettati, tra di loro legati, molti ancora vivi, dall'odio etnico e politico del trionfante comunista Tito.
Il vento come sussurro di labili gole, d'invocazioni d'aiuto, di sofferenza atroce, di terrore del buio che avrebbe coperto un'umanità disconosciuta, soppressa e negata.
Sostammo commossi, increduli di tanto livore; il ricordo e la preghiera deboli consolazioni per una sorte così dura e difficile, come quella dei 350.000 Italiani costretti all'esodo, una biblica fiumana di famiglie allontanate dalla propria casa natia, dal focolare secolare, dai propri campanili e cimiteri; la rottura irreparabile di un legame, come cordone ombelicale, oltretutto con l'amarezza di vedersi accolti con ostilità e malamente da altri Italiani, smaniosi di dimostrare la loro adesione al comunismo di Tito e di Stalin, sol dell'avvenire.
Perché, dunque, ricordare foibe ed esodo? Non certo per rinfocolare polemiche e revanscismi, ma per un senso di  pietas verso questi nostri fratelli sfortunati e tormentati, che hanno preso su di sé - innocenti - il peso di una guerra perduta e di una dittatura durata fin troppo.
Se i morti non hanno colore, di pelle o politico, è però necessario - nel ricordo, nella memoria - mantenersi stretti alla verità e rammentare bene chi, come, dove, quando e perché ha voluto perseguitare; non basta deprecare «le derive nazionalistiche europee», come si è limitato l'attuale Presidente della Repubblica; il nazionalismo, in questa vicenda, ha giocato il suo ruolo, sovrastato però da una spinta propulsiva politica che aveva ed ha un nome: comunismo; il nostro linguaggio dev'essere chiaro e semplice, per essere vero: come quando ricordiamo con orrore che la shoah è opera del nazifascismo.
La memoria appannata e nebulosa non serve a nulla e può divenire offensiva nella selettività ipocrita.
Di certo non è istruttiva ed educativa; la condanna delle atrocità dev'essere incondizionata, non parziale; altrimenti, la storia non ci ha insegnato nulla.
Riposino in pace.