martedì 1 febbraio 2011

La mediazione civile, rivoluzione possibile



Il 20 marzo 2011 dovrebbe entrare in vigore la mediazione civile obbligatoria, ossia il procedimento alternativo per la risoluzione delle liti, che dovrà precedere necessariamente il ricorso al giudice.
La nuova mediazione civile presuppone il condiviso cambiamento di mentalità e di cultura nell’approccio al contenzioso. Nelle cause normali, l’obiettivo di ciascuna parte è di farsi riconoscere da una decisione imperativa di avere ragione o torto, mediante l’iter rigido e formale di un procedimento giurisdizionale.
Con la mediazione, invece, l’aspetto emotivo litigioso e formale viene sostituito dal tentativo, facilitato dal mediatore, di consentire a ciascuna parte di ottenere un obiettivo positivo, conforme ai suoi interessi e alle sue aspettative, valutati oggettivamente e con equità sul piano della convenienza e della rapidità, anziché della mera e rigida applicazione della legge.
La mediazione, dunque, è l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa; il mediatore è la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo; la conciliazione è la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione
Si calcola che centinaia di migliaia di cause civili siano pendenti nei tre gradi di giudizio, nelle materie più disparate. Anche i tentativi di riforma e di snellimento della procedura civile (ultimo quello del luglio 2009), seppure meritòri, non si sono dimostrati capaci di risolvere un problema che coinvolge milioni di cittadini e, soprattutto, di imprese, sì da poter parlare di denegata giustizia.
Innumerevoli le condanne della Corte Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo nei confronti della Repubblica Italiana per la durata clamorosa dei procedimenti
Lo scarso organico dei Magistrati civili, anche onorari come i Giudici di Pace, l’insufficienza cronica del personale di cancelleria e degli Ufficiali Giudiziari hanno reso davvero problematico e defatigante tutelarsi nei confronti di violazioni delle leggi civili e commerciali
La giurisdizione civile è dunque la gravissima ammalata dell’ordinamento, benché coinvolga i diritti di pressoché tutti i cittadini e delle imprese, che si vedono frustrati nel momento di ottenere provvedimenti rapidi ed eseguibili.
Un recentissimo dossier dell'Ufficio Studi di Confcommercio ha stimato in circa 2,6 miliardi annui a livello nazionale il costo dei disservizi della giustizia per l’economia italiana; un costo ormai insopportabile, che incide non solo sulla certezza del diritto, ma anche sulla competitività delle imprese italiane, ostacolate nell’ottenere giustizia. Una situazione che rende pure inaffidabile il nostro Paese per investitori stranieri, disorientati dal nostro sistema giuridico-amministrativo ritenuto barocco, se non incomprensibile e, comunque, caratterizzato da inammissibili lungaggini, cui le recenti riforme non hanno saputo dare alcun rimedio.
Il Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28 ha dato attuazione alla delega contenuta nella legge del 2009 di riforma della procedura civile ed alla Direttiva Europea 2008/52/Ce ed ha dunque introdotto l’istituto giuridico della MEDIAZIONE CIVILE per la conciliazione delle controversie civili e commerciali.
Si tratta di un provvedimento organico e generalizzato, esteso alla gran parte delle controversie, avente lo scopo i) di deflazionare sensibilmente il carico giudiziario; ii) di sgravare i Tribunali da una buona percentuale di cause.
Un’innovazione fondamentale e rivoluzionaria sulla via della modernizzazione del nostro sistema, con possibili rilevanti ricadute anche sull’economia.
Purtroppo, circolano già rumors che l'entrata in vigore di questa rivoluzione possibile sarà rinviata, anche a causa delle ostilità manifestate da alcune categorie, in primis l'avvocatura.
Sarebbe un peccato, poiché . per contro - le aspettative sono notevoli.
Non mancano esempi stranieri che permettono di concludere per la positività di questo nuovo istituto.
In un mio recente studio sulla mediazione obbligatoria in Argentina (dove esiste dal 1995!), ho svolto alcune riflessioni.
Il modello argentino e quello italiano della mediazione civile partono dallo stesso presupposto fattuale: la profonda crisi della giustizia civile in entrambi gli ordinamenti, che richiedeva imperiosamente urgenti provvedimenti strutturali di riorganizzazione e riforma endoprocedurale ed extraprocessuale ed un cambio della mentalità comune di approccio all’amministrazione della giustizia sia nell’opinione pubblica degli utenti, sia nei comportamenti e nelle abitudini degli operatori, magistrati, avvocati ed ausiliari: l’eccesso di litigiosità, la farragino-sità dei procedimenti, l’enorme carico di cause pendenti, il dilatarsi progressivo dei tempi, la rigidità formale impermeabile ai cambiamenti sociopolitici ed economici avevano prodotto una vera e propria paralisi, convertentesi in denegata giustizia, con pesantissimi riflessi sulla vita quotidiana dei cittadini e sul competitivo ed ordinato svolgersi della produzione e dei commerci.
La necessità di deflazionare i Tribunali e di rendere ragionevole la durata dei processi ha quindi influito fatalmente sui Legislatori di entrambi i Paesi per il reperimento di strumenti alternativi per la risoluzione delle dispute, individuati nella mediazione civile obbligatoria: una scelta coraggiosa e lungimirante che, nel caso dell’Argentina, si è rivelata vincente ed esportabile.
Proprio in tal senso si esprimeva nell’agosto 2004 Alejandro Marcelo Nató : “la mediazione è nata in Argentina con la legge 24.572 di mediazione e conciliazione da un lato per decom-primere la giustizia, dall’altro per instaurare un cambio di cultura. Siamo molto vicini all’obiettivo primigenio, che era quello di deflazionare la giustizia. Di fatto, l’Argentina sta già esportando accademicamente nel mondo modalità di approccio ai conflitti. Ossia, esportiamo conflittività, ma siamo anche all’avanguardia sui modi di affrontare i conflitti. Per esempio, siamo molto avanti nella risoluzione di conflitti pubblici e nell’ambito della mediazione pregiudiziale le statistiche sono buone”. Rimarcava Nató: “attualmente, più del 30% dei casi si risolve al di fuori dell’ambito giurisdizionale, una percentuale tutt’altro che disprezzabile. Un’avanzata importante per consolidare l’istituto; ogni giorno in cui la mediazione progredisce, osserviamo che ogni volta c’è una maggior volontà di accordarsi per dirimere le liti in via pregiudiziale” .
L’obbligatorietà della mediazione, quindi, sulla scorta dell’esperienza argentina, appare un discreto viatico per l’avvìo della riforma in Italia, insieme all’altro, non trascurabile elemento psicologico, l’auspicato cambio di mentalità e di cultura: v’è da auspicare che, come nel Sud America, la radicalità della scelta si tramuti in effettivo beneficio.
La durata del procedimento mediatorio è diversa nei due casi: quattro mesi, non prorogabili, in Italia; due mesi, ma prorogabili sull’accordo della parti, in Argentina; la rigidità italiana appare più coerente e dà una veste di affidabilità all’istituto, per evitare che sia percepito come un ulteriore ostacolo all’accesso alla giustizia, l’ennesima corvée imposta agli utenti per complicare una situazione di per sé già asfittica.
Proprio perché la mediazione è stata concepita come strumento per risparmiare tempo, la pro-roga consensuale ammessa dalla legge argentina gioca un ruolo demoralizzante sulla credibilità dell’istituto e della sua intrinseca capacità di evitare il dilatarsi dei tempi; una tempistica rigida, inoltre, incide anche sull’organizzazione della mediazione stessa e spinge tutti coloro che ne sono coinvolti (le parti, i mediatori, gli ausiliari-consulenti) ad un impegno adeguato per rispettare i tempi imposti e non rinviabili.
Quanto alla formazione dei mediatori, agli enti formativi ed agli organismi di mediazione, le analogie sono prevalenti.
Ben diversi, per contro, i requisiti per essere mediatori: in entrambe le nazioni, occorre se-guire con profitto un corso preparatorio, ma in Argentina, la mediazione è riservata agli av-vocati (purché esercenti da almeno tre anni), in Italia è estesa a chiunque appartenga ad un ordine o collegio professionale ed a chi abbia conseguito una laurea almeno triennale.
La norma argentina appare limitante e restrittiva: se è pur vero che il procedimento mediato-rio presuppone una buona conoscenza degli istituti giuridici (prerequisito ovvio in un avvocato), non è sostenibile che solo i legali possano avere un professionalità adeguata; infatti – almeno per alcuni tipi di conflitti – la conoscenza delle norme commerciali, di mercato, della produzione può agevolare la conduzione della mediazione e fomentare l’accordo, poiché il mediatore parla stessa lingua dei contendenti e ne meglio comprende finalità, esigenze (e spesso anche le riserve mentali).
In tal senso, commercialisti, architetti, ingegneri, medici – quantomeno per gli affari che rien-trino nelle loro attitudini professionali o nell’ambito di una seria specializzazione – potrebbero svolgere una funzione utile e competente e possedere le nozioni giuridiche sufficienti.
La norma italiana, per contro, appare eccessivamente liberale ed incoerente, poiché consente l’accesso alla professione di mediatore ad una platea enorme di aspiranti, reclutabili in base ad una mera laurea triennale anche in materie completamente aliene dalla cultura giuridica; un corso formativo di cinquanta ore non è certo la panacea risolutrice per la necessaria profes-sionalità, sicché il sistema sembra essere in nuce affetto dal rischio della scarsa attendibilità e credibilità di molti mediatori improvvisati o alla ricerca di uno sbocco professionale.
Solo l’esperienza applicata consentirà di verificare se questi timori siano eccessivi o giustificati; sicuramente, il numero dei rigetti delle richieste di omologazione dei verbali di conciliazione per l’esecutività da parte dei Presidenti dei Tribunali per errori di diritto o contrarietà a norme imperative (cfr. l’art. 12 del D. Lgs. 28/2010) sarà significativo per considerazioni statistiche e di merito.
Sempre nell’ottica di affidare un ruolo decisivo alla categoria degli avvocati nella loro qualità di esperti del diritto, la legge argentina dispone che le parti siano obbligatoriamente assistite da un avvocato nel procedimento mediatorio; la norma italiana nulla dice in proposito, sicché l’assistenza legale è facoltativa e le parti possono comparire anche personalmente e senza difensore. Si tratta di una decisione che ha provocato forti critiche e resistenze nell’avvocatura italiana, che vi ha scorto un tentativo di mortificazione della professione forense ed il rischio di mediazioni compiute in modo superficiale e disinformato.
Effettivamente, la presenza dell’avvocato appare utilissima per il raggiungimento di una conciliazione giuridicamente inappuntabile; la sua competenza tecnica può essere indispensa-bile per il reperimento e l’agevolazione di soluzioni transattive e perfettamente legittime, non-ché per rispettare il dettato costituzionale circa il diritto di difesa come inviolabile per prescrizione del 2° comma dell’art. 24 della Costituzione repubblicana.
Se per questioni bagatellari l’avvocato può essere ritenuto sovrabbondante, altrettanto non è a dirsi per questioni che, al di là del valore economico, possono investire delicati problemi di diritto e richiedono una competenza specifica e professionale (difficilmente riscontrabile in mediatori che non siano avvocati, com’è consentito dalla legge italiana).
In tal senso, è auspicabile che la legge italiana sia prontamente modificata per rendere ob-bligatoria l’assistenza legale nei procedimenti di mediazione di maggiore importanza e com-plessità; il risultato potrebbe essere raggiunto con la previsione di una soglia minima di valore della controversia oltre la quale la presenza del difensore tecnico sia necessaria; previsione non ignota all’esperienza italiana, che conosce esempi vigenti nel diritto positivo (si veda l’art. 82, 1° comma del codice di procedura civile, laddove si prevede che “davanti al Giudice di Pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede € 516,46”): un criterio ragionevole e facilmente estensibile.
Un’altra differenza rimarchevole – questa volta di tecnica legislativa – risiede nelle modalità di individuazione delle materie per cui la mediazione sia obbligatoria:
 il legislatore italiano ha elencato una serie di controversie sottoposte all’obbligo (art. 5, comma 1., condizione di improcedibilità, D. Lgs. cit.), peraltro non senza ambiguità e dif-ficoltà ermeneutiche;
 il legislatore argentino ha invece dichiarato generale l’obbligatorietà della mediazione, e-lencando tassativamente ed organicamente una serie di materie che, eccezionalmente e per motivi evidenti (diritti indisponibili, interesse pubblico), sono sottratte a quell’obbligo.
La scelta argentina risulta di gran lunga preferibile, sia per la maggiore chiarezza (l’elencazione generica delle materie soggette a mediazione secondo la norma italiana sarà presto oggetto di diatribe interpretative, come si è già visto nei primi commenti dottrinari), sia ai fini dell’organicità e sistematicità del nuovo istituto, ultimamente esteso dalla riforma argentina del 2010 anche alla mediazione familiare quale ulteriore segnale della volontà di isti-tuire un nuovo ordinamento complessivo della giustizia, fondato su due pilastri alternativi e potenzialmente equivalenti ed affidabili:
mediazione prejuicial, informale, rapida, compositiva, innovativa, pro bono et aequo;
 giurisdizione propriamente detta, formale, decisoria, tradizionale, secundum ius.
I due sistemi sono ontologicamente destinati ad essere competitivi; per assicurare l’effettività di concorrenza, l’obbligatorietà della mediazione è condizione imprescindibile, poiché la giurisdizione, ab imis, è dotata imperatività; l’obbligatorietà diminuisce il ricorso ai Giudici e permette, tra l’altro, il soddisfacimento più rapido, se non immediato degli interessi delle parti e fomenta la diffusione tra i cittadini dell’esperienza pratica del principio di autocomposizione e di autoresponsabilità.
Anche in caso di insuccesso, la mediazione consente ai litiganti di essere più consapevoli dei propri diritti e di avere una visione più realistica e meno aggressiva del thema decidendum: un risultato minimo, forse, ma comportante l’apertura di un dialogo e di impensati canali comu-nicativi prima dell’instaurarsi del giudizio.
Un’altra differenza apprezzabile consiste nel fatto che la mediazione italiana è sostanzialmente affidata ad organismi privati (con i quali soli le parti hanno un rapporto diretto), mentre in Argentina si distingue la mediazione puramente privata da quella oficiosa per le modalità di scelta del mediatore: nel caso di scelta demandata a sorteggio (sorteo) tramite le cancellerie dei Tribunali in elenchi di mediatori registrati, si ha infatti un carattere di maggiore pubblicità e di garanzia di imparzialità: in questo senso si spiega come le statistiche dimostrino che la mediazione oficiosa raggiunge il 62 % di successi, contro un 40% delle mediazioni private; probabilmente, l’ufficialità rende più autorevoli i mediatori e più affidabile il procedimento, perché nascente in una Corte.
La norma italiana, tuttavia, non poteva prescindere dalla disastrosa situazione delle cancellerie degli Uffici Giudiziari, che difficilmente si sarebbero potute caricare di nuovi còmpiti.
A conclusione, il confronto con la notevole e pluriennale esperienza argentina induce a confidare nel successo del nuovo istituto introdotto nell’ordinamento italiano dal D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28: una rivoluzione possibile, a portata di mano, che tramuta l’ancestrale ed aggres-sivo spirito litigioso nella facoltà – forse più difficile psicologicamente, ma più conveniente in termini pratici – di una gestione condivisa del conflitto, foriera di ricomposizione delle controversie, di pacificazione sociale e suscitatrice indiretta di uno spirito civico che da ogni parte ci si lamenta difettare tra i caratteri distintivi degli Italiani.
Con alcuni accorgimenti, mutuati dall’esempio argentino, su cui ci si è soffermati supra, il nuovo sistema potrebbe essere ancor più convincente ed attraente.
C'è solo da augurarsi che, con un emendamento al decreto "mille proroghe", anche la mediazione non entri nel limbo dell'incertezza e dei continui differimenti: una norma utile non merita rinvii.

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