martedì 2 giugno 2009

A proposito di danaro lasciato dalle precedenti Amministrazioni


Il candidato a Sindaco Avv. Angelo Proserpio – negl’inconsueti panni di un micro-Obama nostrano – descrive così i miei primi cinque anni di Amministrazione: «I primi cinque anni c’è stato un grande attivismo, grazie ai fondi che aveva lasciato in eredità la giunta di centrosinistra di Tettamanzi. Fondi con cui Gilli ha fatto molto movimento e si è fatto vedere».
Dice il vero sul grande attivismo
, che però giustifica come se il fattore scatenante fosse stata la fortuna di avere a disposizione dei fondi, un tesoretto proveniente dalla precedente Amministrazione, che da formichina aveva risparmiato.
Purtroppo, la scienza dell’amministrazione insegna tutt’altra cosa; principio fondamentale (e logico, direi) è che gli Amministratori devono chiedere il minimo possibile ai Cittadini per gestire la città e, conseguentemente, devono spendere possibilmente tutto ciò che hanno chiesto per realizzare il bilancio annuale.

Non vi sono risparmi nella contabilità pubblica, non vi devono essere, perché se si avanza qualcosa, vuole dire che o 1) si sono sbagliate le previsioni e si è chiesto ai cittadini di pagare di più del necessario o 2) non si è stati capaci di impegnare e spendere le somme chieste ai cittadini.
L’avanzo di amministrazione, dunque, non è un risparmio, ma è la prova dell’incapacità più o meno alta di amministrare; non è un utile come in un bilancio privato, è una manifestazione di inefficienza.

Quindi, se è vero che l’Amministrazione Tettamanzi lasciò una discreta somma al suo termine, vuol dire che non era stata in grado di governare in modo adeguato, vuol dire, soprattutto, che aveva aumentato l’ICI ed introdotto l’addizionale IRPEF senza riuscirne poi a spendere il ricavato: che bisogno c’era, allora, di tartassare i cittadini?

Da dove venivano questi falsi risparmi? Senza voler dare lezioni di contabilità pubblica e limitandomi a definizione molto sommarie, dai residui passivi (cioè dalle somme impegnate e non pagate entro il termine dell’esercizio = è stata stanziata a bilancio una certa somma per p.es. un’opera pubblica, poi questa non è stata realizzata e, quindi, non pagata), dalla mancata contabilizzazione dei risparmi sulle opere pubbliche (per un’opera pubblica si è stanziato, ad es., 1.000.000,00 di €; alla sua conclusione, tra ribasso d’asta ed altri minori costi, è costata 900.000,00 €; occorre il collaudo per la contabilità finale, che in questo caso rimette in gioco 100.000,00 € disponibili), dalla mancata devoluzione ad altri scopi di residui di mutui già pagati.

Nel 1999-2000, la mia Amministrazione dispose una rigorosa ricognizione dei residui passivi , che si concluse con la pulizia del bilancio e con la scoperta (ma tale non era!) di una disponibilità di qualche miliardo di lire: i soldi c’erano, bastava volerli trovare, bastava che gli Uffici facessero il loro dovere, bastava che i collaudi non attendessero anni per essere fatti, bastava che si chiedesse alla Cassa Depositi e Prestiti (allora l’unica di fatto a concedere mutui agli Enti Locali) di spostare dei residui di mutui già pagati e rimasti inutilizzati al finanziamento di altre opere (si scoprirono avanzi di vecchissimi mutui risalenti addirittura agli anni Cinquanta; peccato che, nel frattempo, l’inflazione li avesse pressoché azzerati; peccato che le somme in cassa sono obbligatoriamente depositate presso la Tesoreria Unica Nazionale, che non dà un centesimo di interessi sulla giacenza).

Dunque, di non di tesoretto si trattava, ma di monumento all’inefficienza; questi soldi – dei Saronnesi – c’erano già, da anni, e dovevano essere usati sia per nuove opere e nuovi servizi, sia per ridurre la pressione fiscale (l’ICI sulla prima casa, nei primi cinque anni della mia Amministrazione, passò dal 5,2 per mille al 4,0 per mille).

Oggi la situazione economico-finanziaria dei Comuni è ben altra cosa; il sistema dei Comuni ha dato il più alto contributo al risanamento delle finanze pubbliche; il patto di stabilità, i sempre minori trasferimenti dallo Stato, i sempre maggiori servizi imposti ai Comuni, la gravità generale della contingenza economica, l’enorme diminuzione degli oneri di urbanizzazione, la difficoltà ad assumere mutui pesano enormemente e costringono ad una politica di bilancio al limite della sussistenza, come tutti gli Amministratori, di ogni colore e di ogni provenienza geografica, denunciano quotidianamente.

Reperire nuove risorse è impresa titanica, sicché governare si è reso molto più difficoltoso e complicato; le promesse elettorali, poi, corrono il rischio di rimanere sogni irrealizzabili.

Non resta che sperare negli effetti benefici del federalismo fiscale, recentemente approvato dal Parlamento, e della riforma della Pubblica Amministrazione, in via di approvazione definitiva da parte delle Camere.

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