venerdì 5 giugno 2009

La Durlindana e la “pataca”


La durlindana, secondo la leggenda, era la spada di Orlando, paladino del re dei Franchi Carlo Magno: un oggetto simbolico, impugnato da Roland per la difesa dei cristiani.

Ergo, un’arma ontologicamente nobile, di cui – secondo il mio interlocutore nell’etere cibernetico e speranzoso candidato a Sindaco – io metaforicamente farei uso per replicare a punture di spillo, perché (cito letteralmente) “Gilli è fatto così. Basta pungerlo con uno spillo per doversi riparare dai suoi fendenti di scimitarra (pardon di durlindana)”.
Prima di entrare nel merito degli importanti argomenti di cui si discute, con l’ovvio corollario della rispettosa differenza di opinioni, mi preme far notare al Collega interlocutore che i suoi spilli, nei miei confronti, hanno già da tempo raggiunto per di Lui volontà le ragguardevoli dimensioni di un lampione; anzi, per essere autoironico, dei pennoni dell’alzabandiera, che spiccano in Piazza Libertà all’opposto delle di Lui finestre (pennoni da me voluti ed oggetto di incredibili polemiche).
Come definirebbe, infatti, il Candidato a Sindaco, l’espressione “spacciatore di patacche”, di cui mi ha graziosamente gratificato qualche settimana fa? Al di là del buon gusto, sarebbero queste le punture di spillo? Non oso pensare a quali livelli sublimi arriverebbero i (di Lui) fendenti!

Evidentemente, le rispettive sensibilità sono molto diverse; mi sono sorbito il pataccaro e oggi mi adatto anche alla durlindana, perché sono fatto così e non ho la querela facile.

Et de hoc satis, bella espressione che ho imparato da Lui.

Quanto al merito – di certo più interessante delle svalutate patacas di Macao -, una terna di doverose precisazioni:

1) appunto, ho riconosciuto (come avrei potuto negarlo?) di avere ricevuto un involontario legato miliardario dall’inefficienza delle precedenti Amministrazioni; non trascurabile differenza: quei soldi sono stati subito spesi per opere pubbliche (non pretendo da tutti condivise) e per sistemare altri lasciti penosi, come, ad es., le numerose ed annose cause allora pendenti per indennità di esproprio: le ho chiuse tutte, con transazioni convenienti per il Comune e per gli espropriati, sicché l’Amministrazione è stata messa al riparo dalle pesanti conseguenze delle leggi successive, che hanno portato, con l’ultima finanziaria del beneamato Governo Prodi II, l’indennità pari al valore di mercato… Tra l’altro, proprio con quei soldi, è stata restaurata Villa Gianetti, per uso pubblico, salvata da un tardivo colpo di mano, che l’avrebbe consegnata per tempo indefinito a mani private, per un’esclusiva scuola privata di musica…;

2) il lascito del generoso P.R.G.: il mio dòtto interlocutore sa benissimo che uno dei principi fondamentali dell’ordinamento è l’affidamento; il P.R.G. era entrato in vigore a febbraio 1998; come lo si sarebbe potuto cambiare un paio d’anni dopo, quando ancora non aveva incominciato a produrre effetti? Lo strumento urbanistico attribuisce diritti ed interessi legittimi, che non possono essere legati ai capricci di un’Amministrazione o di un’altra, come insegna la giurisprudenza amministrativa. Quando, poi, si è cominciato a parlare di nuova legge urbanistica regionale, che significato avrebbe avuto cambiare il vigente P.R.G., già destinato a diventare obbligatoriamente Piano di Governo del Territorio? Ad ogni buon conto, quali “varianti molto gradite al mondo dell’immobiliarismo saronnese” sarebbero imputabili alle mie Amministrazioni? Controlli i dati, il mio interlocutore; vedrà che i metri cubi concessionati in questi dieci anni sono misurati ed inferiori alle medie precedenti. E in più… le mie Amministrazioni hanno acquistato circa il 90% dei terreni nel Parco del Lura e hanno “inventato” l’Agro Saronnese, a nord-ovest della città, preservandolo da mire edificatorie;

3) Palazzo Visconti: rimango fermo nelle mie opinioni. Il progetto di ricupero c’è già, con l’avvertenza della competente Sovrintendenza che quello è tecnicamente l’unico approvabile. Non c’è indagine di mercato che tenga (costerebbe solo altri soldi): qualsiasi uso nobile e da sogno sarebbe antieconomico e produrrebbe voragini per le spese di gestione. Il Comune non può fare il mecenate, né il passo più lungo della gamba; piuttosto che l’ennesimo centro di cultura generico, impossibilitato a competere con quelli della vicinissima Milano, a me pare che abbia fascino il ritorno del Municipio in quella che fu la sua sede: uso pubblico, continuato, economico e anche polivalente, senza il rischio che qualche sponsor, per recuperare il bell’edificio, vi ci metta privatissime ed esclusive residenze o ristoranti di catene a buon prezzo di origine americana o impenetrabili direzioni generali private di banche. L’indagine più seria e sovrana, in punto, sarebbe sottoporre la questione ai Saronnesi mediante un referendum, preceduto da un approfondito dibattito sulla sostenibilità economico-finanziaria dei progetti presentati in alternativa. Ci avevo già pensato e ci penso: più democratico di così…

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