sabato 5 settembre 2009

Gerusalemme


Giungiamo alla Città santa per antonomasia dopo un breve viaggio dal mare, in un paesaggio verdeggiante e boscoso. È venerdì, giorno festivo per i musulmani, in pieno Ramadan; c’è grande folla nei quartieri arabi, è l’ora dell’uscita dalla preghiera del mezzogiorno, sicché affrontiamo a piedi la Via Dolorosa in controcorrente, con non poche difficoltà di movimento negli spazi angusti e stretti; gran parte dei negozi chiusi, la vita ferve variopinta e caratteristica agli occhi di un occidentale (uomini in gallabia con il tappeto della preghiera sottobraccio, donne tutte velate, alcune con il burqa ed i guanti), in un’atmosfera festosa nonostante gli spasmi del digiuno, da cui ci sentiamo però inesorabilmente esclusi per la diffidenza leggibile negli occhi.

Le soste alle stazioni della Via Crucis sono necessariamente brevi, nel disordine brulicante delle stradine; finalmente, arriviamo alla Basilica del Santo Sepolcro e qui si ricupera un po’ di tranquillità, prima di entrare nel complesso architettonico di notevole bellezza e suggestione. Moltissimi pellegrini di ogni dove, uniti – almeno loro – dal comune intento di fede, al di là delle ruvide separatezze delle diverse confessioni, rivelate dall’aspetto spesso arcigno di religiosi preoccupati più dello splendore e della preminenza del proprio rito; il pensiero corre immediato alla cacciata dei mercanti dal Tempio.

Nella luce dorata dei mosaici, dei ricchi lampadari, delle candele, l’aria è irrespirabile, sicché la salita al luogo della Crocifissione è disagevole: ma l’emozione prende alla gola nel momento stesso in cui si può sostare, per poco, su quella che era la cima del Golgota; si riesce anche ad innalzare una preghiera di lode e di ringraziamento, nonostante l’insistenza a sgombrare di uno sbrigativo pope ortodosso russo.

Poi l’incontro con la pietra della Deposizione, fatta segno di grande devozione; infine, il Sepolcro, incredibilmente diviso in due parti: la cappella più piccola, dei Copti, comprende la porzione del sepolcro ove avrebbe poggiato la testa del Salvatore; ci fermiamo lì, contemplando il Grande Mistero della Risurrezione, accompagnati dalle orazioni del pope, rappresentante dei tenaci superstiti Copti della grande tradizione cristiana di Egitto ed Abissinia.

Usciamo verso il quartiere ebraico, frettoloso per l’approssimarsi dello Shabbath; seguiamo i numerosi ebrei ortodossi, dal rigido abbigliamento nero, barba e filatteri, e le tante famiglie osservanti, con molti bambini, che, in un clima composto ed allegro, si dirigono al Muro del Pianto. Lì, uomini e donne si dividono; indosso la kippah ed infilo nel muro un bigliettino, come di rito, accomunandomi ai nostri Fratelli maggiori, che pregano incessantemente, Vecchio Testamento alla mano; dietro il muro, la spianata delle moschee, di Al Aqsa e di Omar, luoghi da cui Maometto sarebbe asceso al Cielo: tre religioni concentrate in poche centinaia di metri.

Scambio qualche intensa parola con alcuni Ebrei ortodossi, molto gentili a dispetto della foggia severa; anche loro, come i Cristiani, come gli Islamici, credono nell’Unico Dio: shalòm shabbàth.

Mi avvedo che la contraddizione umana regna in questo sito sacro; il monoteismo, divisosi in tre tradizioni (ognuna delle quali ha una pluralità litigiosa di riti), riflette l’animo umano, che ha il sopravvento sull’Unicità di Dio. Penso: “quando ritornerà sulla terra, il Figlio dell’uomo vi troverà la fede?”. Mi consolo considerando che le virtù teologali sono tre: ci sono anche la carità e, soprattutto, la speranza.
Pure Gesù ebbe – quale uomo nella Sua duplice natura – un momento di smarrimento e di angoscia: nell’orto del Gethsemani, dove sudò sangue nell’imminenza del Sacrificio supremo; come potremmo non smarrirci anche noi?

Concludo qui, tra gli ulivi a fianco della chiesa delle Nazioni, l’itinerario gerosolimitano, confidando nella misericordia divina: per Ebrei (khesed), Musulmani (ar-Rahman) e Cristiani Dio è misericordioso. Ci salva tutti, anche nella divisione, che – da pellegrino – ho dovuto dolorosamente percepire.

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