domenica 6 settembre 2009

La resistenza cristiana dei Copti


Attraversato il Cairo, in preda ad un traffico incontrollabile di mezzi di trazione di ogni specie (inclusi i carretti tirati dagli asini) ed affollata all’inverosimile, arriviamo al quartiere cristiano, nella relitta parte medievale della città. Una sbarra mobile, presidiata da molta polizia, blocca l’ingresso: Ahmed ottiene il permesso, sicché entriamo in questa vecchia zona della città, conosciuta oggi come Il Cairo antico (Misr al-Qadima), dove faticosamente si regge un baluardo della cristianità egiziana, cioè Il Cairo copto, con le sue storiche chiese.
Un mondo a sé, apparentemente tranquillo, senza traffico, silenzioso; sembra un’oasi di pace e di ordine, anche se non è così: l’area è circoscritta, murata e presidiata militarmente, per prevenire incidenti , ossia disordini di stampo religioso.
Nel 1952, alla deposizione di Re Faruk, il 25% della popolazione egiziana era di fede cristiana (massimamente ortodossa copta), percentuale oggi ridottasi al 10%, anche a causa delle insistenti persecuzioni soprattutto nell’Egitto profondo.
Il Governo – sin dai tempi di Nasser spinto al panarabismo - tutela, come può, la “cittadella copta” del Cairo, dove ha sede il Patriarca di Alessandria e della Chiesa Copta, oggi Shenouda III, Papa di questa porzione di cristiani indòmiti, che si rifanno alla predicazione apostolica di San Marco Evangelista; come i Copti dell’Abissinia, sono ortodossi, ma miafisiti (una declinazione dei monofisiti), cioè riconoscono un' unica natura di Cristo, in cui aspetto umano e divino sono indivisibili e presenti in egual misura, e non condividono le decisioni del Concilio di Calcedonia in punto.
Malgrado ciò, l’appartenenza di questa comunità al popolo cristiano è indubbia e degna di ogni riguardo, per la capacità di resistenza alle persecuzioni, da quelle più velate, ai fatti di sangue, posto che, dal VII secolo, si trova ad annegare in un mare completamente islamico, spesso agitato e tempestoso; in tutto il Cairo ed in Egitto, sino all’estremo sud, vi sono comunità copte, con le loro chiese, le loro scuole, i conventi, gli ospedali, le istituzioni di assistenza e di beneficenza, i vescovi ed i sacerdoti; la fede vi è declinata in modo assolutamente diverso rispetto a quello a cui siamo abituati in Europa; si tratta di una spiritualità vissuta in maniera caratteristica, con aspetti esteriori che a noi possono risultare eccessivi o ingenui; eppure si respira tra i fedeli un senso della fede molto forte, l’idea della religione come legame indissolubile di una comunità.
Ammirati gli imponenti resti di una fortezza romana, entriamo nel cortile della “chiesa sospesa” (el -Moallaqa), dedicata alla Vergine Maria, che sembra letteralmente poggiare su due torri della fortezza: per una scalinata, si accede al tempio, pieno di bambini copti accompagnati dalle loro monache; le iconostasi sono preziosissime; su un altare, una magnifica icona della Madonna, venerata come miracolosa: lo splendore dell’arte bizantina, cristallizzatosi nel tempo. Nell’atrio, si trovano libri religiosi e di storia dei Copti, anche il catechismo illustrato per i più piccoli; a lato, il bellissimo museo copto, una vera miniera della tradizione di questa Chiesa.
Attraverso un sottopasso, si penetra nel cuore del quartiere, dalla viuzze strette, dominate da case dalle alte pareti; poche persone e limitati negozi, sino alle chiese di Santa Barbara, di San Sergio, dov’è possibile sostare alla cappella sotterranea che, per tradizione, sarebbe stata la grotta in cui trovò riparo la Sacra Famiglia ai tempi della fuga in Egitto. Poi la chiesa ed il convento di San Giorgio, sede del Patriarcato; infine, la sinagoga di Bin Ezra, oggi restaurata, da cui dovemmo allontanarci precipitosamente nel 1985, presi a sassate da ragazzotti con la kefiah.
Sosta in un grande negozio non solo di pacchiani souvenirs, ma pieno di antiche fotografie e di notevoli prodotti dell’artigianato copto; acquistiamo dei copricuscini decorati a mano con motivi floreali stilizzati bizantini; l’anziana commessa, orgogliosa della sua croce copta al collo, mi descrive, in una lingua franca mista di italiano, spagnolo e francese, l’intensità del senso di appartenenza di questa comunità che è capace di non piegarsi; mi sovvengono le parole entusiaste di alcune ragazze che, la vigilia dell’Epifania del 1986, durante il mio primo viaggio in Egitto, stavano allestendo il presepio nella chiesa di Santa Barbara per il Natale, dai Copti celebrato il 6 gennaio: si rallegrarono con noi per essere, tutti insieme, cristiani (“we are christians like you!”); chissà se vivono ancora là, in questo mistico, coraggioso, indimenticabile avamposto di fede.
Ritorniamo a Port Said; il sole tramonta; finalmente Ahmed può bere e mangiare.



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