sabato 5 settembre 2009

Betlemme


La “Città del Pane” si apre alla vista nel sole accecante; pochi passi ed ecco la Basilica della Natività, affollata da fedeli ortodossi che celebrano la Messa per la festa della Madonna.

Si deve chinare il capo per entrare nella chiesa da una bassa porticina: poi i canti, le luci, l’incenso liturgico ed uno spontaneo raccoglimento nella paziente attesa per scendere alla Grotta.

Una fila composta, nella babele delle lingue, sino alla stella che segna il luogo della deposizione del Bambino; la commozione è percepibile vistosamente nei brevi momenti concessi per la sosta e la preghiera, in ginocchio e con trepidazione.

Ibi natus est, alleluia.

Il resto è secondario, anche se la curiosità spinge ad osservare le diverse fogge degli abiti dei sacerdoti dei diversi riti e la coesistenza, nel panorama, di campanili e minareti.

Segni di pallottole sull’esterno della Basilica rammentano che la pace è ancora lontana nella Terra Santa.

Si rientra in Israele attraverso il varco nell’alto muro che separa fisicamente lo Stato ebraico dall’Autorità palestinese: controlli severi, militari in armi da entrambe le parti.

È una ferita in quella che è la Terra Santa per le tre grandi religioni monoteiste; ma – rifletto – è forse una dolorosa necessità provvisoria, per impedire il peggio, che si è già fin troppo manifestato; è latente la paura; gli sguardi non sono amichevoli; eppure, con il rispetto per le reciproche credenze, la vita sarebbe un’altra e nessuno, in questi luoghi, si sentirebbe straniero.

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