giovedì 9 dicembre 2010

Le virtù teologali e cardinali



Rompo un intimo silenzio, per me inconsueto, durato molti anni, per un evento privato e familiare: il 18° compleanno del mio terzogenito.
Per noi, è un evento davvero straordinario, dopo le ansie vissute dal momento della sua nascita e successivamente in un lungo iter di correzioni chirurgiche ad un cuore formatosi solo a metà: la maggior età è una conquista che, nel 1992 nemmeno avremmo osato immaginare.
Eppure ci siamo arrivati, con fiduciosa determinazione e con l’aiuto infaticabile di medici lungimiranti e valorosi e quello, non meno prezioso, di familiari ed amici che ci hanno incoraggiato e che hanno compartito con noi i momenti difficili.
Così scrivevo l’anno scorso, per il Santo Natale:
"Diciassette anni fa, l’enorme fabbrica dell’ospedale milanese era appena avvertibile nella nebbia densa; l’umidità colava dai rami spogli, lunghi portici, dalle alte volte, illuminati da luce fioca, non certo invitante.
Ma appena si sbarcava dall’ascensore, un altro mondo: caldo, luce violenta, rumori metallici, suoni striduli incoerenti con le movenze pacate e morbide di medici ed infermieri.
Dopo un atrio minuscolo, un corridoio con una parete di cristallo: fuori la bruma, là – dietro il divisorio trasparente – luce abbagliante, che si riflette sulle superfici metalliche, lucide, pulite, di macchinari votati alla custodia di piccole creature in lotta per la vita, appena iniziata e già in battaglia.
Dentro l’incubatrice, avviluppato da fili e tubicini, sei sdraiato, una gamba sull’altra – gesto tuo tipico, che conservi da sempre -, occhi spalancati che ancora non sanno distinguere.
Sei bello, volitivo, sembri affaccendato; mi dicono che respiri autonomamente, che fai sei pasti con gusto, che i tuoi parametri sono nella regola; nulla fa sospettare che ti manchi una metà del cuore.
Non riesco a capire perché, nella cartella clinica, dopo la diagnosi, abbiano scritto: “condizione incompatibile con la vita”; si sussurra di una ventina di giorni, poi non ti sveglierai più, coperto dalla terra amara.
Un giovane medico, pressoché coetaneo, anche lui tre volte padre, mi prende da parte, mi sprona ad uscire dalla rassegnazione che si comincia a leggere sul mio volto: “Insista, indaghi, non desista, una soluzione ci deve pur essere!”.
Ritorno a casa – la nebbia mi rallenta – con un pensiero fisso; una bimba, alla scuola materna, col cuore ammalato, in cura da un famosissimo e telegenico medico lontano.
Mia moglie, nella sua doppia tristitia puerperae post partum, amorevolmente mi asseconda; un breve colloquio con la madre di quella bambina, un numero di telefono romano, che compongo incerto, perché ormai è la notte di una domenica ben poco festosa.
Mi passano il cardiochirurgo di turno; racconto la vicenda, per come so fare; è gentile, didascalico, mi dà spiegazioni; mi dice che, da qualche anno, si sperimenta dagli Stati Uniti una correzione chirurgica del problema, anche se tuttora di scarsissimo successo.
Mi dà appuntamento all’indomani, per un colloquio con una celebrità medica.
Adesso so; so che si può tentare; so qual è il mio dovere. L’incubo persiste, però un sottilissimo filo di speranza incomincia a farsi vedere.
Dormo: domani incomincia l’avventura, devo essere in ottime condizioni per capire, per agire, per crederci.
Qualche giorno prima, in un lampo ero corso da te, a Como, appena avvisato delle tue condizioni.
Sembravi destinato a non rivedere la luce del giorno seguente.
Sguardi compassionevoli di medici ed infermiere; mi domandano se hai ricevuto il battesimo: bisogna far presto.
Una ciotola d’acqua nella mia sinistra, si apre l’incubatrice: verso alcune gocce sul tuo capino, sfioro i capelli; con la destra, tre dita riunite nel segno della Trinità, ti benedico e fermo pronuncio le arcane parole che ti fanno salvo e cristiano: “Ego te baptizo Albertum, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”.
Ora sei uno di noi, ma romano, come il rito che ho celebrato; morto alla colpa d’origine, sei pronto ad affrontare la vita: “Io sarò sempre con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”.
Arrivano i nostri parenti più cari: legami forti, che già ti stringono nell’abbraccio affettuoso della tua famiglia.
Mi hai svuotato; mai avrei immaginato di rendermi ministro del sacramento; ora capisco fino in fondo il significato di essere pro-creatore: mi hai dato il dono straordinario di essere anche strumento della vita eterna.
Sei esigente, non cambierai mai, lo avverto come un presagio”.
E oggi compi diciotto anni, l’età maggiore, a dispetto delle infauste diagnosi, con la forza della speranza, delle fede e della carità (le tre virtù teologali): stai bene e sei coraggioso e felice di vivere con tua sorella, tuo fratello, i tuoi genitori, sei la prova tangibile anche delle virtù cardinali: la prudenza (nel valutare i giudizi), la giustizia (il buon esito delle correzioni di ciò che ingiusto ha fatto la natura), la fortezza (la fermezza e la costanza nell’affrontare l’avversità), la temperanza (che rende capaci di equilibrio e di realismo).
Il Cielo continui ad assisterti, insieme alla tenera Madre di tutti.
Auguri a te e grazie a chi ti ha ricondotto alla vita.
Perché – non ho e non ho mai avuto il minimo dubbio - la vita è sempre sacra e tutti gli esseri umani - soprattutto i più deboli - hanno il diritto nativo alla vita, il bene più prezioso che per nessun motivo può essere interrotto, dal concepimento alla sua fine naturale.
Così è, così sia. Sempre.

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