mercoledì 4 novembre 2009

Una resa culturale suicida


Dunque, secondo la Corte Europea dei diritti dell'uomo la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituisce "una violazione dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni" e una violazione alla "libertà di religione degli alunni"; “La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche – annota la sentenza - potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso. Avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione”; seguirà la motivazione.
Il neosegretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani – che per certo non è un bacchettone - ha commentato con lucidità: ''Penso che su questioni delicate come questa qualche volta il buonsenso finisce per essere vittima del diritto. Un'antica tradizione come il crocifisso non può essere offensiva per nessuno''.
Un giudizio equilibrato e – appunto – di buon senso, che affronta con pacatezza e senza il ricorso ad argomentazioni apocalittiche quello che, per il comune sentire degli Italiani, rischia sicuramente di diventare un problema.
Gli Italiani sono fondamentalmente tolleranti e comprensivi, poiché la loro storia, per antonomasia, è sempre stata aperta in conseguenza non solo della configurazione geografica dello Stivale, ma soprattutto dello spirito universale della tradizione romana e della visione cattolica (“universale” in greco) della Chiesa di Roma.
L’universalità è una caratteristica del nostro popolo, poco votato all’imperialismo, perché esso stesso vittima delle invasioni di ogni genere; caratteristica che segna indelebilmente il nostro modo di essere, la nostra identità più profonda, che almeno dall’Editto di Milano del 313 d.C. si è compenetrata, si è confusa con il cristianesimo in chiave religiosa, ma pure culturale, sociale, artistica, filosofica.
Di colpo, gli algidi, asettici Giudici di una Corte deputata a difendere i diritti dell’uomo ci spoglia della nostra identità: si badi bene, non del confessionalismo, perché la nostra Repubblica non è uno Stato confessionale, come ha riconosciuto anche la Chiesa Cattolica nel 1984 in sede di revisione consensuale del Concordato del 1929: “tenuto conto del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II; avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico; riconosciuta l’opportunità di addivenire a modificazioni consensuali del Concordato lateranense, ha pienamente riconosciuto di considerare non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato" (art. 1 dell’Accordo di Villa Madama e art. 1 del Protocollo Addizionale 1984).
L’Italia è uno Stato laico, ove “il rispetto dei principi di libertà e di eguaglianza è garantito non tanto in raffronto alle situazioni delle diverse confessioni religiose (fra l’altro sarebbe difficile negare la diversità di situazione della Chiesa cattolica), quanto in riferimento al medesimo diritto di tutti gli appartenenti alle diverse fedi e confessioni religiose di fruire delle eventuali facilitazioni disposte in via generale dalla disciplina comune dettata dallo Stato perché ciascuno possa in concreto più agevolmente esercitare il culto della propria fede religiosa" (sent. 195 del 1993 della Corte Costituzionale); anzi, la laicità dello Stato è assurta a principio supremo costituzionale: «i valori richiamati concorrono, con altri (artt. 7, 8 e 20 della Costituzione), a strutturare il principio supremo della laicità dello Stato, che è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica. Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale» (Corte Costituzionale, sentenza n. 203 del 1989).
Mentre, dunque, il nostro ordinamento, seppure tra tante contraddizioni e dispute, si è affrancato dalle tentazioni estreme del confessionismo e del laicismo, in omaggio ad una moderna e condivisa laicità, così come enucleata dalla Corte Costituzionale, un’altra Corte ci spinge verso l’abbraccio mortale della negazione della nostra storia e cultura e dell’indifferenza totale rispetto al fenomeno religioso, sostituito da un’intollerante razionalità areligiosa, che tanto ricorda il radicalismo giacobino dei rivoluzionari francesi, (i quali, con un decreto del 7.5.1791, proclamarono la libertà religiosa nella Nazione francese, ma inneggiarono ad un’improbabile Dea Ragione, cui dedicarono una grottesca Festa, nel trionfo delle idee anticristiane).
Il crocifisso nelle aule, quindi, violerebbe la libertà di religione degli alunni; ma quale libertà? La libertà di ignorare i plurisecolari usi e costumi di un popolo?
I cristiani praticanti i cristiani tiepidi, i cristiani nominali - per il solo fatto di esistere e di rappresentare culturalmente prima che religiosamente il sostrato profondo e largamente diffuso dei popoli europei – sono allora confinati in un regime affievolito nell’esercizio del loro diritto inviolabile di libertà religiosa rispetto ai non cristiani, agli atei, agli indifferenti?
Quale fastidio può dare un'antica tradizione come il crocifisso, quando non è – come non è in alcuno Stato dell’Unione Europea – accompagnato dall’obbligatorietà di adesione ad una determinata confessione religiosa, insegnata forzatamente a tutti?
Senza scomodare Don Giovanni d’Austria vincitore della battaglia di Lepanto nel remoto 1571 o Giovanni III Sobieski salvatore di Vienna nella lontana battaglia del 1683, ho l’impressione che questa Corte sia ben più pericolosa degli eserciti e delle flotte musulmane, giunte allora a mettere a repentaglio la respublica cristiana europea: non si tratta, infatti, di uno scontro militare per motivi politico-territoriali paludati di religiosità, bensì di una resa culturale suicida, che in nome di una falsa libertà libertina vuole rendere l’Europa – come dice il Presidente del Senato Renato Schifani - uno spazio vuoto di simboli, di tradizioni, di cultura, del tutto neutro come potrebbe essere un soggetto asessuato.
Non c’è da meravigliarsi di questa rovinosa deriva, che ha innescato il meccanismo dell’autodistruzione di una civiltà antichissima: d’altronde, la colpevole pavidità (e l’ansia di apparire “moderni”) della gran parte dei governanti europei ha impedito dolosamente di inserire nella c.d. Costituzione europea anche un solo richiamo alle radici giudaico-cristiane del Vecchio Continente, che proprio da queste ha tratto la sua fisionomia, il suo progetto di civiltà, il suo modello di vita.
Esultino pure gl’irriducibili laicisti iperrazionalisti; purtroppo sarà tardi anche per loro quando si accorgeranno che il vuoto culturale prodotto da sentenze come quella di cui discutiamo sarà riempito, per una legge naturale, da altre culture, più ferme, solide, convinte (se non aggressive) della loro intrinseca validità.
I musulmani non si vergognano della loro religione – come troppi “cristiani” (anche quelli che non sanno di esserlo e magari ne beneficiano indirettamente) e ne deducono una forza espansiva “giovanile”; noi, invece, sazi e disperati, secondo l’inquietante definizione del Cardinal Biffi, ci avviciniamo alla senescenza culturale priva di bussola.
Urge reagire, a pena della distruzione lenta e melliflua della nostra identità.

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