martedì 11 ottobre 2011

L'involuzione d'Egitto



Ritorna prorompente alla ribalta la questione delle persecuzioni dei Cristiani Copti in Egitto: violenti scontri al Cairo, con la repressione delle proteste dei Cristiani autoctoni, che reclamavano inanemente la destituzione del governatore di Assuan, dov’era stata distrutta una chiesa copta dalla furia islamica.
La brutale reazione e delle forze di polizia e dell’esercito ha prodotto la morte di 25 egiziani copti ed il ferimento di almeno altri duecento fedeli.
Purtroppo, fatti di questo genere continuano a ripetersi nel grande paese africano, dove – di fronte alla preponderante maggioranza musulmana – si erge come un ormai traballante baluardo della cristianità la comunità copto ortodossa (con una piccola parte cattolico-copta), diretta discendente di una delle grandi Chiese apostoliche, quella di Alessandria d’Egitto, patria di nobilissimi teologi e santi della Chiesa primitiva, fondatrice del monachesimo eremitico nel deserto con Sant’Antonio abate.
Dopo la conquista araba, nel VII secolo (“il Cairo” significa “la vittoriosa”, per la battaglia finale che segnò la loro conquista di questa terra), la minoranza cristiana-copta, tra vessazioni e cicliche persecuzioni, ha resistito numerosa sino ai nostri giorni; ma il declino è inevitabile, se si pensa che nel 1952, deposto Re Faruk, i copti – allora il 25% della popolazione – si sono ora ridotti al 10%, sovrastati dal clima di ostilità permanente e di prepotenze amministrative (noi che ci preoccupiamo, giustamente, del divieto di discriminazioni, dovremmo inorridire al solo pensiero che in Egitto, sui documenti personali, compresa la carta d’identità, è obbligatorio indicare la religione professata; altro che la privacy!).
A gennaio di quest’anno, pochi giorni prima dello scoppio della frettolosamente intitolata “rivoluzione” in Egitto, avevo avuto il sentore di una certa fibrillazione malcelata; visitando il convento di S. Caterina sul Sinai e la bellissima cattedrale copta di Sharm-el-Shek, poche settimane dopo l’ennesima strage di cristiani al Cairo, dove una chiesa era stata data alle fiamme da attentatori islamici, ho percepito la tensione, plasticamente dimostrata dalla forte presenza di militari, dai controlli di polizia intorno ai luoghi di culto  cristiani, dai cavalli di frisia che ne delimitavano l’accesso;  situazione ancora più pericolosa di quella costata ad agosto 2009 nella cittadella copta del Cairo, come segnalavo su queso blog, ove parlavo – appunto – della resistenza cristiana dei Copti.
La rivoluzione di quest’anno in Egitto, come in Tunisia ed in altri Paesi arabi, ha fatto gridare al mondo che un nuovo evento di pace e di democrazia si era miracolosamente verificato in quelle plaghe; sembrava di essere tornati alla primavera di Praga o alla rivoluzione dei garofani in Portogallo.
Analisi superficiali e fonte di equivoci luoghi comuni, subito ricompresi nelle tante leggende metropolitane del c.d. politically correct, molto à la page tra europei e nordamericani, irriflessivamente portati a guardare con una certa ingenuità ai sommovimenti popolari e ad ignorare come, invece, siano eterodiretti.
Quale rivoluzione c’è stata in Egitto? 
Dal susseguirsi degli eventi (lo vedremo tra poco con le imminenti elezioni in Tunisia), è sempre più evidente la matrice ideologico-religiosa di questi movimenti popolari; una matrice di natura musulmana, quella dei Fratelli Musulmani e degli altri raggruppamenti fideistici fondamentalisti, che vagheggiano l’imposizione dell’Islàm come unica fonte del potere costituito e della legge (non sarà certo sfuggita l’improvvisa accelerazione neoislamica del governo turco, monocolore confessionale, che sta cambiando la democrazia laica voluta da Atatürk nel tentativo di prendere le redini di un moderno neosultanismo ottomano, esteso ai Paesi dell’antico impero della Porta, con un révirement di 180° nella politica verso Israele, da storico amico a nemico).
Non mi meraviglio, poiché ho ben capito quanto il concetto di libertà religiosa, ampiamente acquisito in Occidente e solennemente proclamato nelle dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo (sia mondiale, sia europea), sia inteso in modo radicalmente diverso in molti Paesi del globo, con una caratterizzazione tendenzialmente persecutoria dei diversi da sé.
In particolare, la dichiarazione islamica in materia restringe il concetto di libertà religiosa alla compatibilità con il concetto di persona e di comunità dell’Islàm, fondato su una legge divina. Istruttivo, in tal senso, l’art. 12 (Il diritto alla libertà di pensiero, di fede e di parola): “ Ogni persona ha il diritto di pensare e di credere, e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia, fino a che rimane nel quadro dei limiti generali che la Legge islamica prevede a questo proposito. Nessuno infatti ha il diritto di propagandare la menzogna o di diffondere ciò che potrebbe incoraggiare la turpitudine o offendere la Comunità islamica” (nel 1990 è stata proclamata la Dichiarazione del Cairo dei Diritti Umani dell'Islam, il cui art. 10 dice semplicemente: “l'Islam è una religione intrinsicamente connaturata all'essere umano. È proibito esercitare qualsiasi forma di violenza sull'uomo o di sfruttare la sua povertà o ignoranza al fine di convertirlo a un'altra religione o all'ateismo”).
Su questi presupposti, patentemente alternativi al concetto di libertà religiosa intesa come declinazione dei diritti nativi di ogni uomo, con gli unici limiti naturali dell’ordine pubblico e del buon costume, sono portato a ritenere, pessimisticamente, che le rivoluzioni che tanto hanno entusiasmato un’opinione pubblica occidentale distratta e superficiale (tiepida come la loro spiritualità) si convertiranno presto in involuzioni confessionali sulla scorta del pessimo esempio dell’Iràn; la democrazia, di cui noi siamo sazi e che respiriamo senza nemmeno più rendercene conto, non si esporterà in questi regimi rivoluzionari; non è compatibile con una visione teocentrica dei rapporti istituzionali ed umani.
Questo è il futuro, assai prossimo, che ci aspetta; insieme ad altre ondate di persecuzione degli alieni cristiani, spinti a fuggire dai Paesi in cui sono radicati da due millenni, per una questione di vita o di morte.
Spero che l’avvenire mi dia torto; tuttavia, la pressoché totale sparizione dei Cristiani dall’Iraq nell’ultimo decennio rappresenta un sinistro campanello d’allarme.
Resta la promessa del Salvatore: ianuae inferi non praevalebunt. 
Purché cessi la nostra indifferenza.

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