lunedì 18 luglio 2011

Cammei (2): pietre che parlano, S. Maria extra moenia ad Antrodòco


Antrodòco, suono difficile per un luogo intatto a cavaliere tra Lazio ed Abruzzo, un ripido grumo di case di pietra che s’arrampicano sulla montagna, sull’antica via Salaria, bagnata dal limpido Velino.
Boschi a profusione che fanno da sfondo al cielo sereno, in una luce netta d’aria pulita, tra promettenti montagne; una piazza incantata, a cui convergono il corso e le strade lastricate, su cui si aprono portali scolpiti, sovrastati da ricchi balconi, variazione allegra di facciate sassose e severe, schiette come solo la gente di montagna sa essere.
Appena fuori l’abitato, in un grande prato ben tenuto, si erge Santa Maria extra moenia, chiesa antichissima, quasi millenaria (consacrata nel 1051), dallo splendido campanile, accostata ad un singolare battistero.
Nonostante le proporzioni contenute, il tempio – sorto in luogo già sacro all’epoca preromana – è di una bellezza sconcertante: di apparente facile lettura, per la rigorosa linearità dei volumi, è invece una fabbrica complessa, che va osservata (e gustata) lentamente, tante sono le sorprese che riserva a chi vuol perdersi per un po’ a ritroso nel tempo.
L’ho visitata di sera, mole illuminata da luce appropriata, sorgente dal prato e dalla terra, come ne fosse naturale continuazione: la pietra della facciata e delle pareti, ravvivata dal gioco del chiaro-scuro di timide lesene, da finestre irregolari, da deliziose decorazioni romaniche, da uno spettacoloso portale con un tralcio scolpito che rompe la monotonia della forma a capanna, sembrano parlare, aiutate dal soffio di un vento fresco e dalle note che provengono dall’interno, ove si teneva un gradevoleo concerto di giovani, bravi artisti.
Le pietre parlano anzitutto con i loro colori: dal grigio prevalente, al bianco, al rosso del mattone: elementi compositi, che danno effetti  decorativi impensati e rendono leggiadra e confidenziale un’architettura rigorosa: fantasia di materiali poveri.
Parlano di secoli lontani, in cui la fede dei semplici si nutriva con i coloratissimi cicli di affreschi interni, didascalico catechismo per chi non sapeva leggere e riconosceva la storia sacra nelle immagini tracciate da un devoto pennello (peccato che, nonostante i restauri, gli affreschi conservati siano pochi); parlano della fiducia con cui generazioni di queste genti , umili e senza fronzoli, si specchiavano nel Cristo dell’abside, raffigurato giovane, imberbe, mite ed accogliente con le braccia aperte in un abbraccio senza fine; parlano delle fatiche, dei dolori, delle speranze di chi si raccoglieva in preghiera davanti alla Madre di Dio, esaltata da colori vivaci e dalla porpora della regalità.
Parlano anche le pietre ed i diversi materiali dell’aereo campanile, che si alza solido nella sua struttura romanica, quasi appoggiato ad un venerando pioppo che lo accompagna in altezza: rimandano allo squillo delle campane, che hanno scandito per secoli le ore della giornata, dandole senso religioso, di percorso terreno teso ad una vita di eterna pace.
Pietre millenarie, che richiamano l’uomo d’oggi alla sosta dello spirito: davanti a tanta bellezza, la cui semplicità sorprende chi vive nella complessità quotidiana, si riscopre il filo sottile che ci lega a chi ci ha preceduto e ci dà tuttora una lezione di compostezza, di armonia, di gusto. Senza fretta, senza effetti speciali, con la povertà della pietra, che vive e travalica le mode fuggenti, questa chiesa preservata induce alla solidità del tempo, unisce la pietas cristiana all’humanitas di chi la sa ancora apprezzare.
Santa Maria extra moenia di Antrodòco: meraviglia tra le tante misconosciute di un’Italia perenne, del vero bel Paese.

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