sabato 3 dicembre 2011

Il vero volto della primavera araba


Con grande esultanza, gli osservatori occidentali, al pari dei loro governanti, hanno salutato, da gennaio in poi, la c.d. primavera araba che, dalla Tunisia, all’Egitto, al Marocco, allo Yemen, a Bahrain, alla Siria, alla Libia, sino addirittura all’Arabia Saudita ha visto le folle scendere in piazza (e alle armi) e, con la forza di Facebook, deporre alcuni regimi di lunga durata.
Finalmente, dopo un periodo di decantazione, in alcuni di questi Stati si è arrivati alle elezioni, democratiche all’occidentale.
In Tunisia, in Marocco e ora in Egitto i partiti islamici – più o meno fondamentalisti o moderati - hanno conquistato la maggioranza; c’è da presumere che sarà così prossimamente anche in Libia e che lo sarebbe pure nello Yemen e in Siria (una volta liberatesi dai rispettivi dittatori); in Turchia, un forte partito islamico è già democraticamente al potere, alla faccia del laico fondatore Atatürk.
Francamente, non ho provato soverchia esultanza per queste rivoluzioni primaverili, di cui ora si scopre il vero volto: quello della progressiva islamizzazione dei governi e degli ordinamenti di quei Paesi, con il Corano fonte unica e suprema di ogni legge.
Così, con il plauso degli acuti (si fa per dire) osservatori, ci ritroviamo le coste meridionali del Mediterraneo unite e compatte come un sol uomo, tenute insieme dall’ispirazione religiosa, fattasi politica.
C’è poco da stare allegri; il concetto di democrazia del mondo occidentale non è compatibile con gli ordinamenti monoconfessionali: è una questione di mentalità, che gli occidentali, secolarizzati e relativisti, non riescono a capire, giacché considerano il loro concetto di democrazia come l’unico valido ed accettabile.
Invece, altri la pensano diversamente e sono più convinti di noi dei loro sistemi.
Come finirà, alla lunga?
Diventeremo tutti dhimmi?

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