lunedì 5 dicembre 2011

Lacrime senza ironia


Ho seguìto con molta attenzione tutta la conferenza-stampa del Presidente del Consiglio e dei suoi Ministri in relazione alla manovra per salvare l’Italia.
Al di là dell’ambientazione cambiata (si è notato che lo sfondo della sala-stampa, il tavolone, persino le sedie sono stati rapidamente sostituiti in segno di discontinuità con arredi meno barocchi e ovviamente più tranquilli: ma quanto sarà costato?), la conferenza mi ha colpito particolarmente per il clima e le movenze degli attori.
Il Capo del Governo incarna naturaliter  la sobrietà; se mai qualcuno gli volesse dedicare una statua (che Lui coerentemente rifiuterebbe come inutile spesa), lo raffigurerebbe come l’immagine plastica del risparmio; è semplicemente perfetto: impassibile, dall’eloquio solenne e lento di chi sa che le sue frasi passeranno ai posteri, si allontana le mille miglia dallo stereotipo dell’italiano medio; non gesticola, non ammicca, ascolta compunto, gli occhi un po’ acquosi sempre pensosi e rivolti verso lontani orizzonti, non  è istintivo ma riflessivo, non interrompe, parla ex cathedra con intento didascalico, con toni bassi e suadenti, linguaggio professorale, condiscendente, di chi si degna di concedersi benignamente e di dispensare i tesori della sua sapienza; ma sa tenere le distanze, non è un piacione, né un compagnone sanguigno, siede con eleganza congenita e semplice, rivestito di una dignitas professorale imperturbabile e confidente solo con i suoi pari (ai suoi Ministri si rivolge dando del tu e chiamandoli per nome, come in un club bene assortito);  le sue battute hanno lo scopo di alleggerire la tensione con uno humour  aristocratico da Camera dei Lords: non ride, tutt’al più sorride, con gli angoli delle labbra increspati di uno che la sa lunga e sa adattarsi alle circostanze; gentilissimo coi giornalisti, tenero con i suoi Ministri – da cui è venerato e che tiene in pugno con rigore – si è già tradotto in mito, in arbiter elegantiae (eleganza di modi, non tanto di abbigliamento), in esempio lodevole da imitare, nonostante un certo sussiego compiaciuto.
Davvero perfetto, gran signore, gentiluomo pacato, il vicino ideale che mai oserebbe alzare il volume della tivù; talmente perfetto da sembrare finto, come i fiori artificiali, che appaiono più belli di quelli veri.
Con soavità e senso della missione, ha messo tutti al loro posto, a partire dai sindacalisti, un po’ troppo pittoreschi e petulanti per le sue abitudini; anzi, ha già loro insegnato che la concertazione è limitata alle questioni che riguardano strettamente il lavoro e che è sbagliato applicarla alle questioni economiche.
In questa atmosfera rarefatta ed impersonale, da Paese nordico, ha quindi spiccato la sorprendente commozione della Ministra Elsa Fornero, che ha pianto al momento di pronunciare la parola “sacrifici”.
Mi ha davvero colpito e lo dico senza ironia o, peggio, sarcasmo: è stato un momento di sincera umanità, tanto più apprezzabile in un clima snob, compìto e algido come quello della conferenza-stampa.
Ci voleva una donna per far tornare tutti con i piedi per terra, con una sensibilità naturale capace di superare le compassate movenze di un copione studiato per narcotizzare.
Che differenza con la buonanima di Padoa Schioppa, che definiva bellissime le tasse e bamboccioni  i ragazzi ancora in famiglia, probabilmente non proprio per loro volontà. Che differenza con altre donne salite ai livelli più alti delle istituzioni per meriti che eufemisticamente definisco estetici.
Pazienza, andrò anch’io in pensione più tardi del previsto; è un sacrificio, dovuto all’egoismo forse inconsapevole delle generazioni che mi precedono; ma – temo – al di là del resto della manovra, va proprio fatto, sennò condanniamo al precariato a vita i nostri figli.
Le lacrime della Prof.ssa Fornero mi hanno dato un quid pluris di motivazione e di convinzione; ne ha tutto il mio rispetto.
Limitato a lei, beninteso.

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