martedì 27 aprile 2010

Corte Costituzionale e matrimonio


Un'importante sentenza della Corte Costituzionale, la n. 138 del 14 aprile (consultabile nella versione integrale:
http://www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce/schedaDec.asp?Comando=RIC&bVar=true&TrmD=&TrmDF=&TrmDD=&TrmM=&iPagEl=1&iPag=1)
ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile in riferimento agli articoli 3 e 29 della Costituzione: il Tribunale di Venezia e la Corte d'Appello di Trento, infatti, avevano inviato alla Consulta le norme suddette, ritenendone l'incostituzionalità nella parte in cui prevedono che il matrimonio sia contraibile soltanto da persone di sesso diverso (c.d. matrimonio eterosessuale).
La Corte Costituzionale si è pronunziato sulla questione concernente l’ammissibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel nostro ordinamento affermando che l’unione omosessuale, pur se riconducibile all’art. 2 Cost., rappresenta tuttavia una formazione sociale non idonea a costituire una famiglia fondata sul matrimonio stante l’imprescindibile (potenziale) “finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale”; i Giudici hanno precisato che “in tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale”; pertanto “in questo quadro, con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che, per quanto sopra detto, contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”.

Almeno per ora l'istituto naturale del matrimonio è salvo.

Ciò non significa che la Corte Costituzionale abbia intenti omofobici, poiché la Consulta ha riconosciuto che "i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata"; infatti, l'art. 29 della Costituzione "stabilisce, nel primo comma, che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», e nel secondo comma aggiunge che «Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare».
Quindi "si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto" "stante la non omogeneità delle unioni omosessuali a quelle matrimoniali".
Ne deriva, dunque, che, "nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette (omosessuali), restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988). Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza".
La Consulta rinvia quindi al Parlamento il còmpito di studiare ed introdurre nell'ordinamento italiano eventuali forme di tutela di unioni omosessuali, che non potranno, tuttavia, essere definite e/o paragonate al matrimonio, la cui nozione rimane quella stabilita dalla Costituzione, in particolare dall'art. 29.
Natura non facit saltus, diceva Linneo; nemmeno i Giudici della Corte Costituzionale, i quali - pur evitando ogni discriminazione (e anzi auspicando indirettamente l'intervento del Legislatore per disciplinare le unioni tra persone dello stesso sesso) - hanno delineato un principio fondamentale traibile dalla nostra Costituzione, pronto a resistere anche ad ardite scorribande giudiziarie dell'algida Corte Europea dei Diritti dell'Uomo: a ciascuno il suo.

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