domenica 17 ottobre 2010

Ricami (11): i revenants


Caduto Napoleone I, i nobili francesi noti come émigrés per essere fuggiti (e scampati) all’estero allo scoppiare della rivoluzione, rientrarono in patria, restituita alla sovranità assoluta di Luigi XVIII di Borbone, fratello del decollato Luigi XVI. Per loro, il mondo si era fermato al 13 luglio 1789, giorno antecedente la presa della Bastiglia, scoppio dei moti rivoluzionari: secondo gli aristocratici negazionisti, non era cambiato niente, la rivoluzione, la repubblica, il consolato, Napoleone e l’Impero non erano esistiti; la Francia se li doveva dimenticare, incominciava la restaurazione.
Furono chiamati revenants, dal plurimo significato di fantasmi, redivivi, ritornati.
Così dev’essere parso – siccome ieri udito durante la cerimonia per la consegna della Civica Benemerenza della Ciocchina e per il cinquantenario della concessione a Saronno del titolo di città – a taluni, ben aggregatisi alla nuova corte municipale, composta non solo dagli esponenti di maggioranza e dall’adattatosi apparato amministrativo, ma pure da tipiche figure funzionali, come l’aèdo aulico alla Corte di Vienna o il predicatore quaresimale alla Corte pontificia.
Una monumentale poetica vernacolare revenante ha rinnovato, previa rancorosa premessa, i fasti della democrazia partecipativa, come ai bei tempi anteriori all’odiato oscurantismo degli ultimi due lustri (un decennio, per fortuna, la metà di altri infausti ventenni, da cui ci protegge una sempre selettivamente invocata Costituzione evergreen): preclaro viatico per una Saronno futura che ha recuperato la sua genuina radice e, con essa, la sua salvezza.
Una brillante ed appassionata, giovanile cinquantenneproclamata compendio dei nati nel 1960 - ha richiamato perentoriamente e con spirito profetico-missionario al radioso avvenire del velocipede.
Non avremmo potuto chiedere di più: ora sappiamo che a Palazzo, a Corte, si pensa paternamente a tutti noi, alla nostra educazione democratica e letteraria, alle nostre mobilità e motilità.
Peccato che non resterà traccia stampata di questi memorabili intenti, poiché il cinquantenario – per scarsità di mezzi – non sarà celebrato nemmeno con una piccola pubblicazione ad hoc, a quanto pare; resterà soltanto una modestissima, piccola targa in lucente similoro: eppure la Civica Sala Consiliare dedicata all’indimenticato Dott. Agostino Vanelli da un’Amministrazione à oublier avrebbe potuto ospitare una semplice lapide marmorea, a ricordo perenne di un evento di indubbia rilevanza nella nostra storia piccola, l’acquisto del titolo di città.

Accontentiamoci delle nozze coi fichi secchi, da strapaese.

In alternativa, per realizzare un volumetto commemorativo ed un ricordo lapideo, si potrebbe proporre una colletta, oggi così à la page.

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