domenica 28 novembre 2010

Humpty Dumpty e la Verità



Pausa domenicale: leggo con crescente interesse un articolato e documentato intervento di Massimo Introvigne (http://www.massimointrovigne.com/), che con estrema chiarezza invita a discernere la Verità anche in questi giorni confusi e allarmanti nel caravanserraglio del ceto politico italiano.
Da una parte, non senza ragioni condivisibili, c’è chi – come il giovane Sindaco di Firenze, Matteo Renzi – invita a rottamare le vecchie generazioni politiche (mi ci metto anch’io tra i rottamandi, penso di avere superato il mio tempo, non per ragioni d’età, ma di azione e attività pregresse); dall’altra – benché da un pulpito privilegiato per nascita e censo e con malcelati scopi di entrare in campo – c’è chi (Luca Cordero di Montezemolo) annota che nel nostro Paese, da decenni, mutano i partiti e le sigle, ma i politici rimangono sempre gli stessi, sicché gattopardescamente nulla cambia nella realtà.
Massimo Introvigne ("Gianfranco Fini nel Paese delle meraviglie. Vera e falsa destra: riportato in http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=19894) formula un’analisi storico-giuridica del valore della parola come mezzo di potere, muovendo da un esempio letterario sorprendente, tratto da un celebrato ed apparentemente innocente, fortunatissimo libro:
“Il dittatore segreto del mondo che ci circonda è il malvagio Humpty Dumpty di Attraverso lo specchio (1872), il fortunato seguito che Lewis Carroll (1832-1898) diede al suo Alice nel Paese delle meraviglie (1865)”. “Nel sesto capitolo di Attraverso lo specchio” – nota Introvigne – “troviamo questo dialogo fra Alice e Humpty Dumpty:
«Quando io uso una parola, – disse Humpty Dumpty in tono d'alterigia, – essa significa ciò che appunto voglio che significhi: né più né meno.
- Si tratta di sapere, – disse Alice, – se voi potete dare alle parole tanti diversi significati.
- Si tratta di sapere, – disse Humpty Dumpty, – chi ha da essere il padrone. Questo è tutto».
Il padrone della parola è l’inventore del relativismo, sotto la cui dittatura viviamo, anche se non lo sappiamo; ce lo ricorda insistentemente Benedetto XVI, che ci mette in guardia dai pericoli di un mondo sì globale, ma in cui ognuno dà alle parole il significato che più gli aggrada.
Destra e sinistra, termini che da più di due secoli si contrappongono nel linguaggio politico, non sfuggono a questa dittatura.
L’origine del significato di destra/sinistra è addirittura biblica, come osserva Introvigne; si è attestato nel tempo, per divenire plasticamente riconoscibile tramite la tradizionale collocazione dei deputati nelle assemblee elettive dopo la révolution française: a destra – scrive l’Autore - siedono quelli che “si caratterizzano non solo per un momento negativo – il rifiuto della Rivoluzione francese, e del processo di allontanamento dalla verità naturale e cristiana che l’ha preceduta e seguita – ma anche per un momento positivo che fa riferimento in alto alla legge naturale, il cui autore è Dio, e in basso ai diritti della persona, dei corpi intermedi e delle comunità locali – di qui il principio di sussidiarietà e la preferenza federalista – garantiti appunto dal rispetto della legge naturale”; a sinistra, invece, stanno coloro che si allontanano da questi princìpi e ne diffondono l’opposto, sulla scorta dell’assolutismo, del centralismo, della statolatria illuminista e subdolamente relativista (imporre un ordine assoluto umano, apparentemente libero e soggettivo, ma dissolto in un generale, omogeneizzante collettivismo dirigista finalizzato al trionfo dell’idea superiore della rivoluzione sciolta da qualsiasi morale).
Destra e sinistra, dunque, sono parole alternative l’una all’altra, nella verità.
Ma la dittatura della parola sa produrre suadenti equivoci ed artate confusioni, che si concretano nelle false destre.
“Le «false destre» sono innumerevoli, perché il loro orizzonte si sposta continuamente. Rifiutano l’ultima fase, la più estrema, del processo rivoluzionario, ma accettano le fasi precedenti. E queste «destre» sono chiamate a buon diritto «false» perché, a ogni generazione, accettano porzioni sempre più grandi dei principi della sinistra” (ibidem).
Orbene, ritornando ai giorni nostri, al teatrino della politica, come non considerare falsa destra chi ammette, senza pregiudizi dogmatici, il diritto dell’uomo – che è sovrano - di scegliere a suo libito nel campo bioetico (eutanasia, aborto, procreazione assistita) o un’idea labile e mutevole del concetto di nazione e del diritto di cittadinanza?
Senza pregiudizi dogmatici significa “libero” pensatore, relativista puro, che non riconosce, come la vera destra, l’esistenza di limiti per il potere: uno alto, la legge naturale perenne; uno basso, “definito dal principio di sussidiarietà come rispetto da parte dello Stato dei diritti delle persone, dei corpi intermedi e delle autonomie locali” (ibidem).
Di fronte alla babele delle lingue politiche e politicanti, pertanto, penso sia necessario stare ben saldi e a piè fermo nella sequela alla verità immutabile, da cui discendono anche gli atteggiamenti pratici e concreti per essere coerentemente uomini dell’oggi: con l’astuzia del serpente e il candore della colomba, per resistere alle sirene delle false neodestre, che modernizzandosi, tentano di apparire di destra, anche quando, con il fragore di una Granata (nomen est omen), ci si arrampica avventurosamente sui tetti dell’Università di Roma, alla ricerca di facile, effimero protagonismo.
Poi, nella disaffezione dei più verso i momenti elettorali, sarà necessario magari scendere a compromessi per alleanze tattiche imposte dalla contingenza: programmi seri, semplici e credibili potranno mettere al riparo dai cedimenti culturali ed ideologici, minimo comun denominatore per dare un Governo alla Nazione: purché sia ben chiaro a tutti, con sano realismo, il discrimine tra il vero e il falso e gli spacciatori di parole siano ben individuati, nonostante le lusinghe.
Buona domenica!

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