La vicenda dell’Ufficio del Giudice di Pace è sconcertante, sia per l’incoerenza con cui è stata gestita, sia per il pressapochismo e la completa non conoscenza dell’istituzione da parte della scadente amministrazione.
Dopo anni di chiacchiere e
promesse, di difesa ad oltranza della presenza a Saronno del Giudice di Pace,
la scorsa settimana, in compagnia degli altri cinque Sindaci dell’ex
Mandamento, il Sindaco di Saronno ha definito “non prioritario” il servizio dell’amministrazione della giustizia
da parte del Giudice di Pace, cosicché, con un’unanimità degna di miglior causa
e prova di insensibilità cortomirante, si è rimangiato l’impegno invano assunto
solennemente di tenere a carico dei Comuni aderenti questi servizio: ennesimo
esempio di incoerenza, pessimamente motivato, con l’inevitabile scusa dei
troppi costi (sui quali tuttavia non v’è chiarezza) e dei tagli dei
trasferimenti di fondi dal Governo; è sempre colpa di altri.
Non si era ancora spenta l’eco di
questa improvvisa e imbarazzante rinuncia alla “giustizia di prossimità” – che tanti problemi causerà ai Saronnesi
costretti ad andare a Gallarate, in futuro, senza nemmeno il conforto di un
mezzo di trasporto pubblico – che l’Amministrazione saronnese ha inanellato
un’altra perla sull’ormai lungo filo della sua collana di insuccessi clamorosi
e pasticcioni.
Lunedì, il Giudice di Pace ha
trovato i propri uffici chiusi e al freddo; il Comune, infatti, proprietario
dello stabile di Via Varese 130, per non spendere più, ha pensato bene di
interrompere l’erogazione dei servizi di riscaldamento.
Già, perché evidentemente, in
Piazza Repubblica 7, avevano pensato che la rinuncia al Giudice di Pace da
parte del Comune di Saronno (e degli altri cinque Comuni sodali) fosse
sufficiente per far chiudere immediatamente i battenti all’Ufficio.
Una prova di totale analfabetismo
dilettantesco e di ignoranza dell’ordinamento!
Infatti, com’è logico, peraltro, la
soppressione di un Ufficio Giudiziario può avvenire solo ad opera di un
provvedimento del Ministero della Giustizia, che si esprimerà nei tempi dovuti
e con la disciplina del trasferimento dei Giudici, del personale, dei
fascicoli, delle competenze.
Fino ad allora, l’Ufficio del
Giudice di pace deve continuare a prestare le proprie funzioni nella sede
attuale ed i costi dei servizi (le utenze) rimangono a carico del Comune
ospitante, che ne potrà richiedere a consuntivo il rimborso al Ministero, come
succede da sempre per legge.
L’Amministrazione saronnese,
invece, in un èmpito di onnipotenza, ha proclamato lo sfratto e lo ha eseguito
di fatto subitissimo, togliendo anche il riscaldamento ai Giudici di pace!
Neanche il preavviso degli otto giorni alla colf!
Manifestazione vergognosa di
incompetenza e di maleducazione, onirica sostituzione istituzionale: Sindaco e Giunta si sono sentiti Ministro...
Quanto al personale, se è pur
vero che spetta al Ministero fornirlo, sorge spontanea una domanda: è noto che
due dipendenti del Comune di Saronno sono stati avviati ad un lungo corso di
formazione per apprendere il lavoro di cancelliere; sarebbero stati messi a
servizio dell’Ufficio del Giudice di Pace;
congedato questo in tutta fretta, i due si ritrovano ad aver seguito per
nulla un corso impegnativo e torneranno in Comune al solito tran-tran.
Ma allora, nella presumibilmente
breve attesa del decreto ministeriale di soppressione e di trasferimento a
Gallarate del Giudice di Pace saronnese, non si sarebbe potuto dare una mano a
questo sfortunato Ufficio, fornendolo temporaneamente del personale già
appositamente formato?
Possibile che il Comune non sia
in grado di pagare a tal fine per qualche mese due persone, che comunque – in
quanto dipendenti – deve già pagare? Basterebbe una convenzione temporanea tra
le due Amministrazioni (Comunale e ministeriale), nella massima trasparenza
anche contabile, e l’agonia dell’Ufficio del Giudice di Pace diventerebbe una
dignitosa e ordinata fase di transito.
Ma forse chiedere un intervento così semplice ed utile è
davvero troppo per un’Amministrazione che è scadente non solo perché prossima
alla sua fine: lo spessore è quello che è, come ne ha dato abbondantissime
prove.
Pierluigi Gilli
Capogruppo di Unione Italiana