martedì 30 novembre 2010

Ricami (18): la santità



La santità è paziente, benigna, umile, serena.
La santità dice sì – sì, no-no.
La santità non è caparbia, non s’intestardisce, sa emendarsi, fugge dalla superbia.
Altrimenti non è santità, ma solo una fortùita coincidenza onomàstica.
Queste le prime riflessioni dopo un surreale Consiglio Comunale, in cui – costretti ad infagottarsi per il gelo siberiano dell'aula -, come al giuoco partenopeo delle tre tavolette, si depositano carte ufficiali parlanti di 1.300.000,00 € di oneri di urbanizzazione destinati alla spesa corrente e, con singolare scambio tra sogno e realtà, un Santo Assessore, pure lui intabarrato, dapprima annuncia il rigiro di un milione alla spesa per investimenti, di poi “confida di raggiungere l’obiettivo entro l’anno”, infine ritorna a malincuore alle carte ufficiali e ribadisce la sua “personale opinione” provvidenziale.
Con un furbesco atto di fede nei cabalistici auspìci assessorili, il Sommo Sacerdote del partito di strabordante maggioranza canta sùbito vittoria e si riscalda nella temperatura ghiacciata montando in cattedra per dispensare orgogliosi elogi alle magnifiche sorti e progressive esistenti solo nel mondo onirico dell’Olimpo sinistro (e diaccio).
Còlto in castagna, evoca compiaciuto auspicabili avanzi di amministrazione in sede di conto consuntivo, dimostrando di non sapere che tali avanzi sono sintomo di cattiva gestione per non aver saputo spendere i fondi a disposizione e di congelamento (è il caso di dirlo) di somme per almeno sei mesi.
Anche i Santi peccano, non sono divini; ma nemmeno un ecumenico, omiletico, obamitico, moralistico, sirenitico Sig. Sindaco li può assolvere con una tirata d'orecchi: non basta essere misericordiosi, i conti son conti, i numeri son numeri.
Domani altra puntata?
Anzitutto speriamo in un ambiente almeno a 18°, non si pretende il calore cubano.
Non abbiamo, comunque, bisogno di altri stenterelli esempi di dilettantismo asfittico; nemmeno di annunci fatali di straordinarie operazioni della nuova Amministrazione (che stanzia € 30.000,00 per il microcredito a favore dei bisognosi, ma ne devolve contemporaneamente ben 33.000,00 per una tettoia protetta per il ricovero delle biciclette dei dipendenti comunali: un bisogno ideologico, questo – la cultura del velocipede -, che evidentemente vale di più dell’aiuto a chi non ha i mezzi di sussistenza, non di locomozione) .
A scanso di altri, imbarazzanti scivoloni su insidiosi lastroni di ghiaccio, si consiglia un lungo riposo in luogo silente ed ameno, liberi da affanni amministrativi; per i devoti, un soggiorno in una trappa sarebbe l'ideale, soprattutto per il silenzio.
La neve incombente e le imminenti Sante Feste favoriscono siffatto ritiro ovattato, al calduccio.

domenica 28 novembre 2010

Ricami (17): Briguglio, chi era costui?



(Da Televideo, pag. 123, 28/11/2010 13:54):
« “Per Briguglio (FLI) "Pd, Udc e Fli insieme vincono". "A capo di questa coalizione io vedo Fini"».
Carneade: chi era costui? Ben si attaglia al neostatista Briguglio, deputato peón in cerca di vanagloria.
Con pronostici strampalati ed evidente miopìa, lui “vede”, ma nessuno – prima - si era mai accorto di lui.
La “falsa destra” ha abbandonato il doppio petto per adottare il sigaro di Bersani e l’orecchino di Vèndola.
Da uomini tutti d’un pezzo a uomini a pezzi.

Humpty Dumpty e la Verità



Pausa domenicale: leggo con crescente interesse un articolato e documentato intervento di Massimo Introvigne (http://www.massimointrovigne.com/), che con estrema chiarezza invita a discernere la Verità anche in questi giorni confusi e allarmanti nel caravanserraglio del ceto politico italiano.
Da una parte, non senza ragioni condivisibili, c’è chi – come il giovane Sindaco di Firenze, Matteo Renzi – invita a rottamare le vecchie generazioni politiche (mi ci metto anch’io tra i rottamandi, penso di avere superato il mio tempo, non per ragioni d’età, ma di azione e attività pregresse); dall’altra – benché da un pulpito privilegiato per nascita e censo e con malcelati scopi di entrare in campo – c’è chi (Luca Cordero di Montezemolo) annota che nel nostro Paese, da decenni, mutano i partiti e le sigle, ma i politici rimangono sempre gli stessi, sicché gattopardescamente nulla cambia nella realtà.
Massimo Introvigne ("Gianfranco Fini nel Paese delle meraviglie. Vera e falsa destra: riportato in http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=19894) formula un’analisi storico-giuridica del valore della parola come mezzo di potere, muovendo da un esempio letterario sorprendente, tratto da un celebrato ed apparentemente innocente, fortunatissimo libro:
“Il dittatore segreto del mondo che ci circonda è il malvagio Humpty Dumpty di Attraverso lo specchio (1872), il fortunato seguito che Lewis Carroll (1832-1898) diede al suo Alice nel Paese delle meraviglie (1865)”. “Nel sesto capitolo di Attraverso lo specchio” – nota Introvigne – “troviamo questo dialogo fra Alice e Humpty Dumpty:
«Quando io uso una parola, – disse Humpty Dumpty in tono d'alterigia, – essa significa ciò che appunto voglio che significhi: né più né meno.
- Si tratta di sapere, – disse Alice, – se voi potete dare alle parole tanti diversi significati.
- Si tratta di sapere, – disse Humpty Dumpty, – chi ha da essere il padrone. Questo è tutto».
Il padrone della parola è l’inventore del relativismo, sotto la cui dittatura viviamo, anche se non lo sappiamo; ce lo ricorda insistentemente Benedetto XVI, che ci mette in guardia dai pericoli di un mondo sì globale, ma in cui ognuno dà alle parole il significato che più gli aggrada.
Destra e sinistra, termini che da più di due secoli si contrappongono nel linguaggio politico, non sfuggono a questa dittatura.
L’origine del significato di destra/sinistra è addirittura biblica, come osserva Introvigne; si è attestato nel tempo, per divenire plasticamente riconoscibile tramite la tradizionale collocazione dei deputati nelle assemblee elettive dopo la révolution française: a destra – scrive l’Autore - siedono quelli che “si caratterizzano non solo per un momento negativo – il rifiuto della Rivoluzione francese, e del processo di allontanamento dalla verità naturale e cristiana che l’ha preceduta e seguita – ma anche per un momento positivo che fa riferimento in alto alla legge naturale, il cui autore è Dio, e in basso ai diritti della persona, dei corpi intermedi e delle comunità locali – di qui il principio di sussidiarietà e la preferenza federalista – garantiti appunto dal rispetto della legge naturale”; a sinistra, invece, stanno coloro che si allontanano da questi princìpi e ne diffondono l’opposto, sulla scorta dell’assolutismo, del centralismo, della statolatria illuminista e subdolamente relativista (imporre un ordine assoluto umano, apparentemente libero e soggettivo, ma dissolto in un generale, omogeneizzante collettivismo dirigista finalizzato al trionfo dell’idea superiore della rivoluzione sciolta da qualsiasi morale).
Destra e sinistra, dunque, sono parole alternative l’una all’altra, nella verità.
Ma la dittatura della parola sa produrre suadenti equivoci ed artate confusioni, che si concretano nelle false destre.
“Le «false destre» sono innumerevoli, perché il loro orizzonte si sposta continuamente. Rifiutano l’ultima fase, la più estrema, del processo rivoluzionario, ma accettano le fasi precedenti. E queste «destre» sono chiamate a buon diritto «false» perché, a ogni generazione, accettano porzioni sempre più grandi dei principi della sinistra” (ibidem).
Orbene, ritornando ai giorni nostri, al teatrino della politica, come non considerare falsa destra chi ammette, senza pregiudizi dogmatici, il diritto dell’uomo – che è sovrano - di scegliere a suo libito nel campo bioetico (eutanasia, aborto, procreazione assistita) o un’idea labile e mutevole del concetto di nazione e del diritto di cittadinanza?
Senza pregiudizi dogmatici significa “libero” pensatore, relativista puro, che non riconosce, come la vera destra, l’esistenza di limiti per il potere: uno alto, la legge naturale perenne; uno basso, “definito dal principio di sussidiarietà come rispetto da parte dello Stato dei diritti delle persone, dei corpi intermedi e delle autonomie locali” (ibidem).
Di fronte alla babele delle lingue politiche e politicanti, pertanto, penso sia necessario stare ben saldi e a piè fermo nella sequela alla verità immutabile, da cui discendono anche gli atteggiamenti pratici e concreti per essere coerentemente uomini dell’oggi: con l’astuzia del serpente e il candore della colomba, per resistere alle sirene delle false neodestre, che modernizzandosi, tentano di apparire di destra, anche quando, con il fragore di una Granata (nomen est omen), ci si arrampica avventurosamente sui tetti dell’Università di Roma, alla ricerca di facile, effimero protagonismo.
Poi, nella disaffezione dei più verso i momenti elettorali, sarà necessario magari scendere a compromessi per alleanze tattiche imposte dalla contingenza: programmi seri, semplici e credibili potranno mettere al riparo dai cedimenti culturali ed ideologici, minimo comun denominatore per dare un Governo alla Nazione: purché sia ben chiaro a tutti, con sano realismo, il discrimine tra il vero e il falso e gli spacciatori di parole siano ben individuati, nonostante le lusinghe.
Buona domenica!

giovedì 25 novembre 2010

Felix felis catus



Finalmente, dopo decenni di attesa, ho anch’io un gatto (sebbene in condominio con mia figlia Marta, che ne è gelosa custode); da maggio, Stelvio (è nato in Valtellina) Gennarino (è un terribile monello, uno sciuscià napoletano) allieta e tormenta la nostra casa.
Indòmito, astuto, spericolato, spavaldo, curioso, incosciente, lottatore, arrampicatore, elegante, cresce e diventa un bel felino; si diverte ad esplorare quotidianamente il tetto.
Sembra dominare la casa, di cui si è appropriato con signorile senso dominicale innato.
Sembra anche felice: un felix felis catus, che sa fare le fusa.
In fondo, lo invidio.
Più conosco gli uomini, si diceva una volta, più amo gli animali.
Ha anche la sua bella pagina in Facebook:
http://www.facebook.com/pages/Stelvio-Gennarino/113335368733724?v=wall
Un gatto… moderno, ma dall’indole antica.
Vado a farmi amabilmente mordicchiare.

mercoledì 24 novembre 2010

Ricami (16): l’Italia delle varietà



Le previsioni del tempo sono preoccupanti: in arrivo gelo e, forse, neve.
È un po’ presto, tuttavia l’inverno si avvicina a passi lesti.
Sono freddoloso, mi attendo mesi tormentosi.
Considero con nostalgia le due giornate trascorse a Messina, domenica e lunedì: fino a 22 gradi, una primavera avanzata.
Mi sono sentito ridicolo, arrivato all’aeroporto di Catania in loden, sciarpa e ombrello: era mezzogiorno, sole e gente in maniche corte.
Voglia di trasferirmi per svernare… Un altro mondo ad un’ora e mezza di volo…
Ed è sempre Italia!
Sì, Italia, a dispetto delle Leghe del Nord, di Forza Sud, di tutti i movimenti localistici che si scaldano i muscoli, delle regioni e province a statuto speciale e ordinario, delle contrapposizioni fittizie, dei federalismi d'accatto.

Preferirei riscaldarmi al sole, nell’Italia delle varietà, incluse quelle atmosferiche. Nella Bell'Italia.

venerdì 19 novembre 2010

Ricami (15): ascoltare e ascoltarsi


Saper ascoltare è una virtù.

Farsi ascoltare è una fatica.

Ascoltare sé stessi sembra facile,
ma non lo è, anche quando si è indulgenti.

Il silenzio mette tutti d’accordo.


(Dopo una giornata d’intenso ascolto)

giovedì 18 novembre 2010

Bufale milionarie



Il dibattito sulle sorti dell'Università dell'Insubria a Saronno si è infiammato; l'autore della nota su questo argomento, comparso sul periodico della lista Tu@Saronno è intervenuto su Facebook e sono seguiti commenti.
Uno di essi mi ha molto colpito per l'assurdità; un tale, con un soprannome di fantasia, scrive: "Tuttavia oggi i soldi sono finiti... già da quando aveva chiuso l'Amministrazione uscente (la  mia), che tra l'altro aveva criticato come incapacità del fare il fatto che Tettamanzi avesse lasciato nelle casse del comune 80 milioni. Forse, se Saronno ha voluto cambiare è anche per quello".
80 milioni???
Ma chi dà queste "informazioni" ... fantasiose, da leggenda metropolitana???
Mettiamo i puntini sugli i: nel 1999, disposi subito una verifica dei residui passivi e delle somme rimaste da stanziamenti per opere già concluse, poiché ero a conoscenza dell'esistenza di notevoli fondi rimasti "congelati". Nessuna sorpresa, quindi, se si trovarono circa 8 miliardi di lire (circa 4 - quattro - milioni di €, non 80 - ottanta - !!!!), tra cui residui di mutui addirittura degli anni '50, per cui non era mai stata chiesta la devoluzione, risparmi su opere terminate da anni e non contabilizzate, ecc., ecc., poiché gli Uffici erano come compartimenti stagni e non si scambiavano le informazioni. 8 miliardi già in cassa, che attendevano solo di essere messi in circolo e spesi.
Mi domandai - allora - perché mai nell'anno antecedente le elezioni fosse stata introdotta l'addizionale IRPEF, quando non ce n'era proprio bisogno: i soldi c'erano già, bastava volerli trovare.
Quegli 8 miliardi di lire furono investiti in diverso modo: per Villa Gianetti, per il Seminario, per la seconda parte di Corso Italia e Piazza San Francesco, per altre strade, per chiudere transattivamente dopo decenni alcune cause per espropri risalenti agli anni '70 (il Comune era stato condannato a pagare indennità salatissime), una miriade di microinterventi, ecc., ecc.
Mi fermo qui.
Eppure... si tratta di informazioni note e stranote.
Consiglio la lettura di un mio intervento su questo blog, risalente al 2 giugno 2009; lo si trova a questo indirizzo: http://pierluigigilli.blogspot.com/2009/06/proposito-di-danaro-lasciato-dalle.html
Non ho altro da aggiungere, se non rammentare che, a Dio piacendo, ho tuttora una memoria di ferro e so riconoscere le bufale.
Qualcuno, evidentemente, ci casca inconsapevolmente; altri ci fanno cascare gli altri...
Le bufale sono notoriamente sempre "più" incinte da tempo immemorabile.
Amorosamente allevate laddove imperava un sistema apparentemente finito nel 1989 con la caduta del muro di Berlino, le "bufale" erano però entrate definitivamente nel DNA dei "sinceri democratici", che - seppure con più sofisticate maniere dovute all'evoluzione dei mezzi di comunicazione - non hanno mai dimenticato che la loro fonte d'ispirazione e di azione rimanga la "Pravda", che in lingua russa significa "verità".
Le verità da Pravda continuano imperterrite a prosperare.
Sono "intelligenti", cioè sanno "leggere" "dentro" (intus legere) per vellicare la mai inesausta propensione dei cittadini a criticare ed a individuare i colpevoli di qualcosa. 
Sanno leggere dentro agli altri, beninteso; dentro di sé non leggono, non ce n'è bisogno: sono comunque "i migliori" per definitionem: parola loro!

mercoledì 17 novembre 2010

Saronno: la ghigliottina sull'Università dell'Insubria?


Dopo gl’interventi sulla stampa del Sig. Sindaco e dell'autorevole Consigliere Proserpio in merito alla presenza dell’Università dell’Insubria a Saronno, interventi che hanno sollevato perplessità ed un dibattito sui giornali (si veda, ad es., il magistrale fondo di Rosy Brandi su “La Prealpina” di mercoledì 17 novembre 2010), non posso non osservare:
1) L’Università a Saronno costituisce una ricchezza, sicuramente ampliabile, che attribuisce un valore aggiunto della già consistente offerta formativa scolastica ed alla cultura in generale della nostra città, altrimenti destinata ad essere un mero grosso paese privo di ambizioni e di vivacità;
2) I costi sostenuti per la riqualificazione del complesso del già Seminario sono stati ben spesi perché l’importante proprietà comunale, acquistata in uno stato di fatiscenza, è stata resa agibile, confortevole ed usabile; per fortuna l’investimento è stato fatto in un’epoca in cui i soldi non mancavano, altrimenti oggi anche questo edificio farebbe la fine di Palazzo Visconti. In ogni caso, anche se se ne dovesse mutare l’uso, il complesso è pronto e funzionale, senza necessità di ulteriori spese; d’altronde, l’attuale confermato Segretario del PD nel 2000 pronosticò che la restaurata Villa Gianetti sarebbe stata uno scatolone vuoto: si è visto… Oggi c’è chi fa la fila per ottenerne l’uso…
3) L’Università paga un canone volutamente simbolico, ma si accolla tutte le spese per la gestione dell’edificio (riscaldamento, luce, acqua, gas, pulizie, ecc.); se fosse costretta ad abbandonare Saronno, tutte queste spese passerebbero a carico della spesa corrente del Comune, che difficilmente riuscirebbe a farsele rimborsare da eventuali nuovi inquilini (associazioni?) o vi dovrebbe provvedere in proprio se vi sistemasse uffici comunali o paracomunali (biblioteca, teatro, ecc.): con quali soldi, se l’Amministrazione continua a piangere miseria?
4) Altre città non capoluogo di provincia, come Busto Arsizio, non solo ospitano gratuitamente sedi distaccate dell’Università dell’Insubria (o prestigiosi musei di arte moderna), ma dànno notevoli contributi economici all’Università stessa, riconoscendone la valenza culturale, e sarebbero dispostissime ad accogliere agli corsi di studio;
5) Certamente la scelta di avere una sede universitaria costituisce un investimento a medio-lungo termine, che non è valutabile con il gretto provincialismo e l’ultraliberismo moralista di conteggi suggestivi, ma strumentali e presentati demagogicamente, come quelli letti sul periodico di Tu@Saronno, ove non si esita a definire l’Ateneo zavorra e spreco mortale . E poi e si propongono riusi alternativi, senza valutazione alcuna dei nuovi costi per le casse comunali; vi si vorrebbe forse spostare le uniche due scuole dell’infanzia che occupano locali condotti in locazione (Matteotti e Arcivescovile), quando – p.es. – c’è la scuola di Via Filzi vuota? Si vorrebbero mischiare bambini in tenera età con “altre scuole”? Quali? Elementari e medie inferiori, posto che le medie superiori sono di competenza della Provincia, che paga direttamente il canone di locazione per la sede distaccata del Liceo Scientifico (il Comune non c’entra). Si vorrebbero forse concentrare nel già Seminario scuole diverse per età e tipologia di corsi? E i problemi logistici e organizzativi?
6) Certamente l’Università deve fare a sua volta degli sforzi per radicarsi di più a Saronno; è notorio che norme restrittive impongono limiti alle Università sulle sedi distaccate e sulla creazione di corsi specialistici, come quello biennale in scienze motorie; si tratta di norme superiori, non facilmente contrastabili ed aggirabili. Nel 2008, la mia Amministrazione già sollecitò in tal senso il Magnifico Rettore, che non nascose i problemi derivanti dalla riforma universitaria. Tuttavia, l’Università potrebbe rendere la sede di Saronno un luogo privilegiato per l’organizzazione di master e corsi specialistici residenziali in ogni disciplina, approfittando della facilità di raggiungimento del già Seminario tramite i mezzi pubblici e, in un futuro non molto lontano, della possibilità di alloggiare temporaneamente i corsisti nella foresteria in fase di ristrutturazione;
7) Certamente l’Università – che non ha stipulato alcun contratto con il Comune per gli spazi di cui ai restauri del secondo lotto, quindi già ora nella disponibilità libera del Comune – dovrebbe rapidamente decidere se chiedere di espandersi anche in questi notevoli spazi; diversamente, il Comune potrebbe benissimo utilizzarli per altri scopi compatibili, senza alcun problema (ma ne è consapevole l’Amministrazione??); perché, p.es., non organizzare un servizio di mensa, aperta anche al pubblico generico, posto che esistono già ampi locali a ciò adibibili? A costo zero, basterebbe dare in appalto la gestione, magari al Centro Cottura del Comune; se ne ricaverebbero un canone di locazione e anche delle royalties a beneficio delle casse comunali e si fornirebbe la città di un servizio utile e a buon mercato!
Ma l’Amministrazione, nel suo immobilismo, vuole continuare scientificamente l’opera di smantellamento di quanto ricevuto in eredità, con evidente pregiudizio ideologico e spasmodico desiderio di darsi un’immagine ed un’identità (che non ha).
Mi sembra un vero errore; le Amministrazioni 1999/2009 non hanno deliberatamente smantellato nulla di quanto ho ereditato da Angelo Tettamanzi, anzi, hanno portato a termine alcuni suoi progetti incompleti (come ad es. la Scuola Elementare Pizzigoni, dopo aver ricondotto a sostenibilità il progetto, tecnicamente sbagliato e il Sindaco di allora ben si guardò dall’inaugurarla, non era idea sua); semmai, si può sempre migliorare, senza immaginarsi improbabili autori della palingenesi.
Saronno, nel cinquantenario del conseguimento del titolo di città, è una città, non un paese, men che meno uno strapaese. O no?
Per concludere, lo Sportello Immigrazione, altro presunto vanto dell’Amministrazione Porro/Valioni, tanto da aver conquistato un banner in prima pagina sul sito istituzionale del Comune: non è una novità, perché fu introdotto dalla mia Amministrazione di centrodestra  nel remoto 2001 (http://www3.varesenews.it/saronno_tradate/articolo.php?id=39646), prima in tutta la Provincia, ampliato agli altri Comuni circonvicini nel 2004, con ottimi risultati (http://www3.varesenews.it/saronno_tradate/articolo.php?id=580).
Oggi ci si vuol far credere che si tratti di un segno della nuova sensibilità dei nuovi Amministratori dopo anni di trascuratezza colpevole dei loro predecessori, beceramente di destra: l’unica novità, peraltro imposta dalle leggi Brunetta e in materia di immigrazione, è il servizio online, che nel 2001 era impensabile e privo di regolamentazione; il Comune ha semplicemente fatto il suo dovere, tramite il medesimo, ottimo funzionario.
Niente di nuovo sotto il sole, dunque, se non l’ennesima prova del tentativo di appropriarsi di iniziative altrui; per fortuna, i Saronnesi, come chi scrive, hanno buona memoria.

sabato 13 novembre 2010

Gli Statisti



Qualche giorno fa, il 9 novembre, ricorreva il 40° anniversario della dipartita del Generale Charles De Gaulle, Presidente della Repubblica Francese, promotore della liberazione dai nazisti, fondatore della V Repubblica.
Personaggio di statura elevatissima (non solo fisica), è stato protagonista della storia del suo paese, per il quale provava un amore sconfinato: della Francia aveva una visione quasi mistica, spirituale, erede di una tradizione di grandeur che ha spesso inciso profondamente sulla civiltà occidentale.
Al di là delle valutazioni politiche, che sono necessariamente opinabili, è stato un vero statista, che ha saputo governare con polso fermo anche nei momenti più bui e disperati.
Nell 1968, scoppiato il c.d. maggio francese, il 30, dopo sommosse, tumulti ed uno sciopero generale che aveva paralizzato Parigi e la Francia, De Gaulle rivolse un appassionato discorso ai suoi concittadini, in cui dichiarò lo scioglimento dell’Assemblée Nationale e l’indizione di elezioni, da cui ottenne una rinnovata, forte maggioranza; ascoltai alla radio il suo intervento, un’allocuzione grandiosa e solenne, con le parole scandite lentamente, in cui il suo smisurato orgoglio per la France ebbe il sopravvento su tutto e convinse i francesi a rientrare nei ranghi pour la patrie.
De Gaulle si confrontò, dopo la seconda guerra mondiale, con altri grandi statisti, come Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer; seppur diviso da loro da una visione meno entusiastica dell’aspirazione all’Europa Unita, ne condivise serietà, senso dello Stato, responsabilità, disinteresse, fede cristiana, consapevolezza della civiltà europea.
Correndo ai giorni nostri, provo una nostalgia sincera per questi uomini grandi, veri giganti a cospetto dei nani politici che oggi vanno per la maggiore e che si limitano a navigare a vista, mentre quelli sapevano affrontare e sfidare il mare aperto.
Possibile che – nella nostra Italia – si debba mestamente considerare irripetibile la stagione dell’Assemblea Costituente del 1946-1947? Anche allora gli schieramenti erano forti ed alternativi, le passioni politiche esacerbate, le divisioni profonde – soprattutto per motivi internazionali. Eppure, i Costituenti seppero tramandare agli Italiani la Costituzione che ancora ci regge, oggi forse bisognosa di qualche aggiornamento, ma non certo nel suo titolo I.
Nel 1947, con il concorso di democristiani, comunisti, qualunquisti, monarchici, gran parte dei liberali, fu approvato con 350 voti contro 149 (socialisti, azionisti, parte dei liberali) l’art. 7 della Costituzione, che riguarda i rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica e richiama i Patti Lateranensi: fu un punto fermo, in un momento di gravi contrasti, per assicurare la pace religiosa, per la quale, intelligentemente, anche i comunisti si adattarono ad un compromesso istituzionale, che non consegnò l’Italia – come taluni urlarono – allo strapotere della Santa Sede.
Infatti, con lungimiranza, quei Costituenti riconobbero onestamente e coraggiosamente la realtà, cioè il profondo radicamento della religione nel nostro Paese, nella sua cultura, nella sua identità, ma non crearono uno Stato-Chiesa, poiché la Costituzione stessa, nel suo insieme, assicura la libertà religiosa nell’ambito del principio supremo della laicità, come definito dalla Corte Costituzionale: «il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale».
Allora c’erano degli statisti; oggi, evidentemente, non ne circolano più, posto che da lustri si parla di aggiornare la Costituzione, ma nessuno ci è riuscito, se non a ridicoli colpi di risicatissima maggioranza.
Mancanza di volontà o incapacità?
Propendo per la seconda ipotesi; il bipolarismo ha distrutto ogni dialogo e sterminato ogni potenziale statista, ridotta la politica a personalismi ed a pettegolezzi revanchistes.

venerdì 12 novembre 2010

Ricami (14): il film italiano più esportato nel mondo



La verve culturale italiana non è affatto in crisi; orde di autori di commedie all'italiana concorrono allegramente a dare all'estero un'immagine vivace e salace del Bel Paese, secondo tradizione: non mancano pizza d.o.p., mandolini, moda, fabbrichètte, tramonti romantici, tartufi e - oggi molto à la page - sussulti politici.
Un film già visto e remade più volte, ma sempre d'attualità: gli ultimi giorni di Pompei, di cui ora circola una nuova edizione cinematografica.
Tragicomica. Forse più tragica, che comica.
Le stelle stanno a guardare; speriamo che lo stellone d'Italia non ci abbandoni nemmeno questa volta.
A Napoli si registra un picco di vendite di corni scacciasciagure.


Ricami (13): dal rosso al viola


La vulcanica e preparata Ministra per il Turismo, Michela Vittoria Brambilla, è incorsa in un infortunio lessicale qualche sera fa allorquando, parlando ai giornalisti del telegiornale del progetto di vietare la caccia nei terreni privati anche non recintati, ha sonoramente pronunciato “viòla” la terza persona singolare indicativa attiva del verbo “violare”, anziché “vìola”.
Significa forse che è prossimo il transito ad altre tonalità cromatiche di un personaggio che ama evidentemente il rosso, come le sue chiome?
Dal rosso, al viòla.
Come le romantiche violette di Parma o di vergogna per lo strapazzo della lingua del sì?

martedì 9 novembre 2010

Alea iacta est?


Gianfranco Fini chiede le dimissioni del Governo. Berlusconi & Bossi, dopo il solito “lunedì in Villa”, fanno finta di niente. Di Pietro stuzzica Bersani, che a sua volta tira Fini per la giacchetta. Vendola spera nelle elezioni. Casini s’incasina. La Bonino si differenzia.

Pompei crolla. Mezzo Veneto sott’acqua. Le famiglie sono oggetto di discussione a Milano. Le Brigate Rosse fanno capolino a Pomigliano. Continuano i misteri di Misseri.
Il dado è tratto?
Per fortuna, il Capo dello Stato ricorda a tutti che la manovra è inderogabile e il Cardinal Bagnasco invita la politica ad uno scatto in avanti.

Dal 1870, come scrisse Spadolini, il Tevere è più largo. Ma quando occorre, i due Colli sanno ancora distinguere il grano dal loglio.

sabato 6 novembre 2010

L'Italia c'è! Viva l'Italia!



Siamo alle soglie del 150° dell’Unità Nazionale e molte manifestazioni si stanno preparando per celebrare l’importante anniversario.
Due settimane fa, approfittando di una pausa, ho visitato a Roma, nelle Scuderie del Quirinale, la bella mostra “I pittori del Risorgimento” http://www.scuderiequirinale.it/Mediacenter/FE/CategoriaMedia.aspx?idc=252&explicit=SI; percorrendo i saloni, fastosamente addobbati con i colori nazionali, mi sono soffermato davanti ad alcuni quadri famosissimi, che hanno scolpito il ricordo del compimento dell’Unità italiana nella mente di tanti scolari che, come me, rammentano ancora il primo centenario nel 1961: i quadri, in mancanza della fotografia e del cinema, rappresentavano realisticamente l’epopea risorgimentale, ancor più ravvivata nella mia memoria al termine della visita, quando ho casualmente assistito all’imponente cambio della guardia al Quirinale.
L’inno nazionale, eseguito dalla banda della Guardia di Finanza, i Lancieri di Montebello, con le loro lance ornate dalla bandierina triangolare blu, i movimenti perfetti dei militari hanno raccolto il rispetto dei tantissimi astanti (per lo più turisti stranieri), ammirati per la solennità della cerimonia, che onora la più alta Istituzione dello Stato, il Presidente della Repubblica, in una piazza tra le più belle del mondo.
Una liaison inevitabile con la ricorrenza del IV Novembre, celebrata domani, giornata dell’unità nazionale e festa delle Forze Armate.
Giuseppe Mazzini, quando ancora l’Italia era suddivisa in tanti stati e staterelli, scriveva: “L’Italia dev’essere Una… non d’esagerato concentramento amministrativo che cancelli a beneficio di una metropoli e d’un governo la libertà delle membra: ma unità di patto, d’assemblea interprete del patto, di relazioni internazionali, di eserciti, di codice, d’educazione, armonizzata coll’esistenza di regioni circoscritte da caratteristiche locali e tradizionali e colla vita di grandi e forti comuni”; e Carlo Cattaneo, già prefigurandosi il concetto d’Europa, annotava: “Noi abbiamo per fermo che l’Italia debba essere soprattutto all’unisono con l’Europa e non accarezzare altro nazional sentimento che quello di serbar un nobile posto nell’associazione scientifica dell’Europa e del Mondo. I popoli devono farsi continuo specchio tra loro, perché li interessi della civiltà sono solidari e communi; perché la scienza è una, l’arte è una, la gloria è una. La nazione d’Omero e di Dante e di Bacone, di Volta e di Linneo e di tutti quelli che seguono i loro esempi immortali è nazione delle intelligenze, che abita tutti i climi e parla tutte le lingue”.
Italiani d’allora, di due secoli fa, il cui pensiero è tuttora attuale e magistrale: nel momento in cui cadono le frontiere intraeuropee e si assiste all’ampio allargamento ad est ed a sud dell’Unione Europea, l’Italia necessita di una forte coesione, per mantenere, all’interno della più vasta configurazione continentale, le sue peculiari ed originali forme di civiltà e di modalità di vita, peraltro già rispettose delle significative e radicate espressioni tipiche regionali e locali.
Un’Italia contemporanea in affanno, con la politica ridotta a miserrimo teatrino incomprensibile; ma un’Italia i cui cittadini desiderano comunque conservare le radici di una tradizione bimillenaria, animata dal comune pensiero cristiano, perché esse siano una forma di ricchezza e non di divisione nel confronto con tanti altri popoli europei, cui intende avvicinarsi non solo per ragioni di mera convenienza economico-finanziaria.
Lo stemperarsi, se non l’annullarsi, di questo sentimento di appartenenza alla nazione, alla Comunità nazionale e locale, sarebbe un tradimento sia del sacrificio di chi ha combattuto per l’unità d’Italia, sia delle radici che i nostri avi hanno saldamente piantato nel corso della storia e da cui sono sorte rigogliose le piante dell’arte, della scienza, dei commerci, della cultura, della religione: quell’unicum di cui non possiamo non sentirci fieri.
Ricordare l’unità nazionale, dunque, e chi per essa ha dato la vita, significa sentirsi cittadini del mondo, ma consapevoli delle proprie origini e strettamente legati al testimone di civiltà che gli Italiani si sono passati di generazione in generazione e che i nostri militari, impegnati con sacrificio nelle missioni di pace, si sforzano di portare in terre lontane piagate dai conflitti.
L'Italia c'è! Viva l'Italia!

venerdì 5 novembre 2010

Referendum

Nel mio programma elettorale di quest’anno, a pag. 37, scrivevo: “Ritengo che un’apposita Commissione Consiliare a tempo determinato, integrata da esperti volontari, debba realisticamente studiare l’argomento ed istruire un dossier in cui si esplicitino dettagliatamente le varie possibilità di restauro e di uso, la destinazione pubblica e/o privata, i probabili costi di gestione futura, i mezzi con cui farvi fronte. Una volta terminato questo importante e partecipato lavoro preliminare ed individuati progetti alternativi chiaramente spiegati in ogni implicazione presente e futura, la decisione definitiva, a mio avviso, dovrebbe competere a tutti i Saronnesi, che si potranno pronunciare mediante un referendum, nella più classica e libera forma di democrazia diretta. L’edificio civile più importante di Saronno merita il coinvolgimento sovrano e senza mediazioni di tutti i Concittadini, che si devono sentire impegnati, come dovere civico, a stabilirne la sorte, indipendentemente da posizioni politiche, spesso derivanti da ragioni di schieramento, più che di concreta attenzione alla città; i soldi per il referendum sarebbero sicuramente spesi bene”.

A distanza di pochi mesi, il Partito Socialista saronnese, che fa parte della maggioranza, re melius perpensa, ha emesso un comunicato-stampa, in cui vedo ripresi gli stessi concetti: «Siamo fermamente convinti che Palazzo Visconti sia proprietà di tutti i saronnesi, e debba essere restituito alla comunità in tutto il suo splendore. Con queste parole i Socialisti di Saronno propongono di istituire un referendum cittadino per decidere del futuro dell’edificio più antico della città, colpito da un incendio circa tre anni fa. (…) Ci sentiamo di proporre, contestualmente all’istituzione di una Commissione mista per Palazzo Visconti – proseguono -, l'istituzione di un gruppo di ricerca… (…) Infine, ma non ultimo, per l’importanza che riveste la questione del recupero di Palazzo Visconti per l'intera città, noi socialisti proponiamo di sottoporre le opzioni sul futuro di Palazzo Visconti a referendum cittadino» (cfr. http://www3.varesenews.it/saronno_tradate/articolo.php?id=186913).

Sono molto lieto che, dall’interno della maggioranza, si levi una voce coerente e realistica riguardo al destino di Palazzo Visconti, per ribadire che sia proprietà di tutti i saronnesi e che discutendo a mezzo stampa dei suoi possibili utilizzi finali si corra il rischio di lasciarsi prendere da desideri irrealizzabili, progetti onirici o ambizioni sproporzionate (ibidem).

L’elenco dei progetti onirici proviene proprio dalla maggioranza; basti vedere il recente, inedito octalogo proposto dal confermato Segretario del P.D., partito dominante della coalizione al governo della città: si tratterebbe, infatti, di 8 (otto) diverse tipologie di uso, ognuna richiedente spazi dedicati… (cfr. http://pierluigigilli.blogspot.com/2010/10/ricami-12-commissione-o-commistione.html).

Personalmente, rimango dell’avviso espresso nel già cit. programma elettorale: di riportare, cioè, a Palazzo Visconti il Municipio, che vi ebbe sede fino al 1927, con la realizzazione di un altro edificio collegato, abbattuta la fatiscente già caserma dei VV.FF., per unire in un unico complesso monumentale Palazzo Visconti a Villa Gianetti in un’amplissima area verde, dotata di parcheggio sotterraneo; anche tale progetto integrativo è stato approvato dalla Sovrintendenza.

In tal modo – concludevo – “il nuovo complesso pubblico potrebbe ospitare gli Uffici del Comune ed anche spazi per attività culturali nei locali più importanti, ricoperti di affreschi; si tratterebbe di un uso continuo, vivo durante tutto il giorno, sempre di carattere pubblico, a disposizione dei cittadini”.

Questo progetto avrebbe il pregio della sostenibilità gestionale in futuro, senza ulteriori aggravi per le casse municipali; l'investimento potrebbe essere anche finanziato mediante l’alienazione o la locazione dell’attuale Municipio.

Non pretendo, tuttavia, che sia l’unico progetto possibile; sono conscio, però, che “altre destinazioni si scontrano con la realtà economico-finanziaria del Comune: non è noto, infatti, con quali fondi di spesa corrente usi alternativi sarebbero mantenuti (costi peraltro molto elevati); parimenti, non è noto come si reperirebbero le risorse da impiegare per i restauri (molti milioni di euro)”.

C’è, dunque, un vincolo naturale ed obbligatorio con cui confrontarsi seriamente, la sostenibilità economico-finanziaria della gestione del restaurato Palazzo; non possiamo correre il rischio di allestire un complesso restaurato che incida pesantemente sulla finanza comunale anno dopo anno a carico del bilancio, né di cedere a terzi anche solo parte del Palazzo per far tornare i conti; Palazzo Visconti pubblico è e pubblico deve rimanere nella sua totalità.

Su queste basi, come rileva il Partito Socialista, sarà possibile un fecondo confronto, con l’obiettivo di “riappropriarsi di un luogo simbolo della vita amministrativa della città”.

Noi siamo pronti, con l’umiltà che deriva non dai sogni, ma dalla realtà; come siamo pronti a sottoporre davvero a tutti i Saronnesi la decisione finale sul destino di Palazzo Visconti; un referendum sarebbe la massima espressione di partecipazione vera e di democrazia.