giovedì 31 marzo 2011

Ipse dixit (2)


A propòsito della medesima delibera:

“La dicitura atto di indirizzo è la dicitura tipica delle delibere del Consiglio comunale perché il Consiglio comunale è l’organo di indirizzo e di controllo, lo dice l’art. 42 primo comma della legge 267, è l’organo di indirizzo, dice la legge. Io sto al testo della legge, non è un atto di controllo, secondo me l’atto di indirizzo è l’atto tipico poi questo dice l’art. 42 primo comma.
(Verbale del Cons. Com. 21.12.2010, pagg. 3-4: Dott. Matteo Bottari, Segretario Generale)

“Quello che conta è delibera di autorizzare, noi stiamo deliberando questo, non di indirizzare”.
(Verbale del Cons. Com. 21.12.2010, pag. 15: Avv. Angelo Proserpio, Capogruppo di “Tu@Saronno”)

Ipse dixit!

“Noio vulevàn savuàr l’indirìss per andare dove vogliamo andare”
(Antonio De Curtis Focas Comneno di Bisanzio, “Totò e la malafemmina”).

mercoledì 30 marzo 2011

Ipse dixit (1)


"... Quando poi un ragazzino ha detto che il suo no ai 30 km/h era dettato dal ritardo con cui arrivava a scuola, Porro l'ha bacchettato:

«A scuola dovreste andarci a piedi: ci mettereste pochi minuti e, senza problemi di parcheggio e di traffico, sareste sempre puntuali»."

Tie’!

Ipse dixit!

______________________
Ipse dixit: iniziamo una raccolta di dètti memorabili dei nostri provvisori reggitori, che non perdono occasione per brillare di ferme certezze, evocare magnifiche sorti e progressive, dar prova di riflessiva pensosità, evocare la solidarietà come nume supremo e, soprattutto, per educarci con rigore e severità ai princìpi supremi ed ai valori tipici di chi sente antropologicamente superiore.

Lampi (6): il postumo


Il rinnovato, propagandistico “Saronno Sette” compare in edicola il sabato; prossimo numero il 2 aprile, con pagine dedicate al bilancio di previsione 2011, pare.
Il Consiglio Comunale si tiene la sera del venerdì, 1° aprile: in essa è prevista l’iniziale seduta aperta ai cittadini, che vi possono prendere la parola.
Di che cosa parleranno i cittadini non si sa: infatti, solo con la sfera di cristallo potrebbero apprendere, almeno sommariamente, i contenuti del bilancio che – come si diceva – saranno pubblicati il giorno dopo.
Bella prova di efficienza della solerte Amministrazione, che tanto ama la partecipazione – a parole – da renderne impossibile l’effettivo esercizio.
A meno che per i nostri provvisori reggitori non siano sufficienti le sette paginette ultrariassuntive che compaiono sul sito del Comune: condensare in poche righe un provvedimento di centinaia di pagine, relazioni e tabelle è una pallidissima manifestazione di informazione e non chiarifica un bel nulla.
D’altronde, il bilancio – per chi l’ha potuto leggere e compulsare – è fasullo, come l’Amministrazione che l’ha compilato e lo propaganda con un giornale… postumo.
I sinceri democratici son serviti.

Gianluigi Margutti


Un breve e sentito ricordo di Gianluigi Margutti, scomparso repentinamente dopo aver combattuto con coraggio il disagio della malattia. 
Ci conoscemmo quando era Vicesindaco di Tradate; da subito ne ebbi l’impressione di un uomo d’azione e di passione
Impressione convalidata un anno e mezzo fa, in un affollato incontro della nascente Unione Italiana, di cui fu presto l’anima pensante. Provocò gioiosamente, in quell’occasione, la mia definitiva adesione al nuovo movimento politico; ne nacque una bella corrispondenza, che raggiunse l’acme durante la scorsa campagna elettorale saronnese, in cui fu prodigo di consigli, di vicinanza, di confidenze, di bella scrittura.
I suoi libri, i suoi scritti parlano per lui e non ne affievoliranno la memoria: di un uomo coraggioso, che sapeva leggere la realtà politica con le sue interpretazioni acute e con disincanto, con la lungimiranza di chi guarda al futuro senza mai dimenticare di riflettere sulla storia, anche quella personale e più recente.
Ora che ha terminato la sua corsa, raccoglierà i frutti di un impegno civico costante e appassionato, controcorrente; che il suo riposo sia lieve e sereno.

martedì 29 marzo 2011

Lampi (5): se il santo non basta


Leggere il bilancio municipale di previsione 2011, con i numerosi allegati, non è cosa né semplice, né amena. Tuttavia, consci delle difficoltà del momento, vi ci siamo adattati senza pregiudizi e con spirito di servizio. Fatica inutile.
Tra volute d’incenso, strabilianti tabelle, enunciazioni compiaciute, abbiamo purtroppo dovuto osservare tante piaghe: piaghe, non pieghe. Piaghe che rendono del tutto inattendibile ed inapprovabile un documento che, partito con intenti salvifici ed epocali, si nutre invece di svarioni e di veri e propri errori di concetto, contorcimenti da Bolero di Ravel.
Bocciato. Come dire… quando il Santo non basta.

domenica 27 marzo 2011

venerdì 25 marzo 2011

Influenza


Benché tardiva, m'ha colpito l'influenza: qualche giorno di disagiato riposo necessitato.
Non mi capitava da tanti anni; non sono una roccia.
Tempo propizio per riflettere con calma.

mercoledì 23 marzo 2011

Ricami (37): povero Mameli!


Anni fa, visitando il grandioso Cimitero del Verano, a Roma, m’imbattei nel monumento funebre in onore di Goffredo Mameli, le cui spoglie furono però traslate al Gianicolo, presso San Pietro in Montorio, nel 1941, dov’era stato realizzato e tuttora esiste il "Monumento ai caduti per la causa di Roma Italiana".
Un pensiero grato per il giovane ventiduenne caduto nel 1849 nella repressione della Repubblica Romana, amatissimo autore delle parole del nostro inno nazionale, "Il canto degli Italiani”, musicato da Michele Novaro; l’emozione di “toccare” la storia.
Sono sempre stato molto attento alla dovuta solennità delle celebrazioni e delle cerimonie istituzionali, che con il loro decoro civico illustrano e scandiscono le ricorrenze ufficiali italiane; sulla scorta del revival  cerimoniale impresso dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, volli anche istituire un apposito Ufficio del Cerimoniale, per regolare al meglio le cerimonie cittadine.
Naturalmente, non mancarono i pesanti sarcasmi dei sostenitori delle nozze coi fichi secchi, che oggi – giunti a reggere la Città – si fanno paladini dei pennoni di Piazza Libertà e di un patriottismo d’occasione, che io non ebbi la fortuna di osservare nelle festività civili solenni dei miei mandati: allora, erano considerate – evidentemente- cose da robivecchi.
C’è voluto il 150° anniversario della proclamazione dell’Unità d’Italia perché riecheggiassero garrule alte voci istituzionali municipali in difesa della sacralità della simbologia nazionale: “Si scopron le tombe, si levano i morti; I martiri nostri son tutti risorti: Le spade nel pugno, gli allori alle chiome, La fiamma ed il nome — d’Italia sul cor”, come nell’Inno di Garibaldi.
Oggi onorare il tricolore, pavesare le strade con la bandiera è à la page: benvenuto a chi se n’è accorto, finalmente; meglio tardi che mai, anche le vistose coccarde.
Tuttavia, mi appare stridente la conclamata volontà del Capo dell’Amministrazione di far suonare l’Inno Nazionale all’inizio di tutte le sedute del Consiglio Comunale nel corso dell’anno 2011 (sarà usato il file che feci introdurre nel computer dell’aula?); sicuramente apprezzabile per la prossima seduta, che è la più vicina al 17 marzo; bene sarebbe per il 25 aprile, per il 2 giugno, per il 4 novembre.
Il resto non è né protocollare, né giustificabile, se non con l’intenzione di provocare reazioni in una parte dei Consiglieri, fortemente legati ad un’idea di Patria federale non coincidente con quella tradizionale.
Se questo è lo scopo, l’errore è manifesto e bruciante; nel nome dell’Unità, si vuole dividere.
Unione Italiana, nella sua denominazione, dice chiaramente come la pensa sul sentimento nazionale unitario e, seppur con atteggiamento critico nei confronti di opinioni divergenti, mai si permetterebbe di rinfocolarne l’ineluttabile strascico di scomposizione, di revanche, di distinzione; mai bacchetterebbe altri in discorsi celebrativi dell’Unità Nazionale: sarebbe una contraddizione in termini, nel momento in cui si esalta la formazione del nostro bel Paese, se ne mettono in evidenza a bella posta e da insopportabili maestrini le ragioni antitetiche.
La prudenza è una virtù: non bisogna esagerare, men che meno quando si sta in alto.

martedì 22 marzo 2011

Lampi (4): urlatori e silenti



A margine della manifestazione di sabato scorso di TELOS, degenerata in parapiglia, c'è poco da ridere, purtroppo; costoro fanno pesare le loro frustrazioni (eufemisticamente definite "disagio" in sociologhese sinistroide) sui pacifici cittadini e tengono in scacco la città il sabato pomeriggio.
Mi pare che di amorevole comprensione e di tolleranza verso questi "biricchini" ce ne sia stata fin troppa.

Costoro sono dei prepotenti arroganti, che si sentono superiori e diversi rispetto agli altri ragazzi della loro età e s'inventano occasioni per infastidire: pesantemente. Chiamando a soccorso altri facinorosi da fuori Saronno.

Le "anime belle" dei nostri reggenti provvisori, sempre pronte a moralistiche omelie, non hanno niente da dire? Sono forse paralizzate dalla lentezza dei 30 km all'ora, che ne blocca anche la capacità di ragionamento?

lunedì 21 marzo 2011

21 marzo: la primavera


Nonostante i venti di guerra, inizia oggi la primavera. 
Che sia il risveglio della natura e della ragione.

Entra in vigore la mediazione civile obbligatoria

domenica 20 marzo 2011

Lampi (3): domenica di bilancio


Ho amenamente trascorso il pomeriggio domenicale immerso nello studio del progetto di bilancio comunale 2011, insieme a competenti amici.
Per fortuna, la prossima settimana non ha festività e sarà tutta lavorativa, sino al week-end.
Così non avrò tempo per spaventarmi di più di fronte ai grossolani errori ed ai trucchi maliziosi, malamente celati nelle centinaia di pagine.
Un bilancio fasullo ab origine.
Sarà una seduta di tuoni e lampi, quella del Consiglio Comunale del 31 marzo: non basterà nemmeno per correggere quelle che, generosamente, definiamo sante imprecisioni.

venerdì 18 marzo 2011

Ultim’ora: il Crocifisso “sdoganato”


Giunge ora notizia del deposito della sentenza con la quale la Grande Chambre della Corte Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), sul ricorso in appello proposto dal Governo italiano, ha ribaltato la decisione di primo grado e sdoganato la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche pubbliche italiane, come in sintesi dall’abstract del comunicato-stampa della Corte:

Crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane: la Corte non constata violazioni
Nella sentenza definitiva di Grande Camera, pronunciata oggi nel caso Lautsi e altri c. Italia (ricorso no 30814/06), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso a maggioranza (quindici voti contro due) alla:
Non violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1 (diritto all’istruzione) alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il caso riguardava la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia, incompatibile, secondo i ricorrenti, con l’obbligo dello Stato di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche.

Mi riprometto quanto prima di formulare le mie osservazioni alla sentenza, dopo averne dato lettura (è disponibile il solo testo integrale in lingua francese, di 56 pagine!).
Sin d’ora, manifesto la mia soddisfazione per l’esito positivo della vicenda, che – pur nella giusta affermazione del necessario rispetto della libertà religiosa (o areligiosa) e del divieto di discriminazioni – sembra avere còlto la peculiarità del nostro ordinamento e del bagaglio di valori e di tradizioni su cui si fonda.

Lampi (2): bilancio-schock



Ho incominciato l’attento studio della proposta di  bilancio preventivo comunale del 2011 ed annessi documenti.
Uno schock! Previsti milioni e milioni di indebitamento per nuovi mutui e qualche amabile stangatina per alcune tariffe.
L’impianto scricchiola, i conti galleggiano in un mare di promesse non mantenibili, si invocano continuamente le sponsorizzazioni di terzi, si esalta il bilancio partecipato per salvarsi dalle proprie responsabilità di governo….
Un Comune col cappello in mano e con i debiti sulle spalle con questo santo bilancio…

giovedì 17 marzo 2011

Celebro anch’io la nostra Italia


Ricorre oggi il 150° anniversario della proclamazione solenne del Regno d’Italia, avvenuta a Torino, prima capitale italiana sino al 1865, già capitale del regno subalpino.
Un secolo e mezzo di storia unitaria, con tutte le contraddizioni del nostro grande Paese: il bel Paese, che così spesso critichiamo e di cui ci lagniamo, ma che è la nostra Patria, la madre comune di tanti popoli di antiche tradizioni, che insieme, magari senza troppa convinzione, hanno raggiunto traguardi importanti ed un senso comune unitario, arricchito dall’infinita particolarità dei suoi abitanti, dei campanili sotto la cui ombra si distende una terra così varia e multiforme, in cui il genius loci  ha operato meraviglie.
Ne siamo eredi, non sempre degni; abbiamo sulle spalle il più grande patrimonio artistico del mondo, la nostra fantasia supplisce ai difetti da cui siamo afflitti; anche se ce ne dimentichiamo con allegra disinvoltura, siamo tenuti insieme dalla ricchissima cultura e da un senso comune che ha le sue profonde radici nella fede cristiana tramandataci dai nostri padri.
L’italianità è un concetto difficile, per l’individualismo che ci contraddistingue e che ci distingue dal senso civico di altri popoli.
Però siamo Italiani e ne proviamo orgoglio, non soltanto in occasione delle partite della nazionale di calcio; non lo ammettiamo apertamente, tuttavia lo sappiamo e coltiviamo il vezzo di convertire  l’amore per  il nostro Paese nel continuo parlarci addosso. Ma quando occorre, sappiamo riunirci.
Con affetto per questa Penisola, così allungata nel mezzo del Mediterraneo, con le sue isole grandi e piccole, voglio celebrare anch’io l’anniversario, nel ricordo del tributo dei miei predecessori nella linea della vita: un trisnonno, morto in battaglia nella prima, sfortunata guerra d’indipendenza, nel 1848; un bisnonno, incorporato nell’esercito regio dieci giorni prima della nascita del Regno d’Italia.
Una piccolissima storia familiare, che mi fa sentire partecipe della nostra storia, come quando, nel 2007, rientrando da una viaggio a Padova, sostai a Custoza, nei pressi di Verona, al sacrario ove sono custoditi pietosamente i resti mortali dei forti soldati  che, nel 1848 e nel 1866, persero la vita nelle battaglie della Prima, Seconda e Terza Guerra d’Indipendenza: tra questi, anche un mio trisavolo torinese, Francesco Marocco, caduto a Sommacampagna appunto nel 1848.
Avevo con me il mio figlio più piccolo, con il quale ho voluto condividere un momento di emozione storica e di commozione familiare, nel segno della tradizione, cioè del passaggio della consegna da una generazione all’altra, unite da un filo sottile, che preserva dall’oblio.
Lo stesso pensiero è condiviso da milioni di Italiani, che hanno tra gli avi uomini e donne che – nei modi più diversi – hanno partecipato alla formazione del Paese.
Oggi è il momento di ricordarli e, per quanto mi riguarda, ho la fortuna di poterlo fare tramite i documenti che sono arrivati sino a me e che custodisco con cura gelosa; da qui ho tratto le notizie certe, da cui discende una comprensione intima della storia, fatta da persone concrete, con le loro sofferenze, con le loro fatiche, non idealizzate in dipinti esornativi o in statue imponenti.
Un piccolo omaggio, alla mia, alla nostra Patria, alla mia famiglia, in un giorno fausto per la comunità degli Italiani.
Il mio bisnonno paterno, Giacomo Gabriele Gilli, nacque a Poirino (TO) l’11 febbraio 1840, da Giovanni e Maria Gioda; visse 81 anni, sino al 12 gennaio 1921.
Da Poirino, Giacomo Gabriele si trasferì per lavoro nella regia capitale, Torino, dove visse tutta l’epopea risorgimentale (prima guerra d’indipendenza, 1848; seconda guerra, 1859).
Ammesso alla leva militare nel 1860, il 7 marzo 1861 (dieci giorni prima della proclamazione del Regno d’Italia), fu chiamato al 1° Reggimento di Artiglieria Pontieri, da cui si congedò con il grado di Pontiere di prima classe il 1° ottobre 1864.
Nel 1866, il 6 maggio, fu richiamato alle armi per la terza guerra di indipendenza e congedato a Pavia il 23 maggio, perché affetto da ernici voluminose e madure.
Dalla descrizione riportata nel foglio di congedo, risultava una statura di m. 1.69, capelli e sopracciglia neri, occhi castani, fronte scoperta, naso grosso, bocca grandetta, mento largo, viso ovale, colorito bruno rosso; come segno particolare, un grosso neo a destra del mento.
Nella fotografia in divisa, appare un tipico uomo risorgimentale, in stile Napoleone III, con baffi, mosca e pizzetto.
Giacomo    Gabriele, il 16 settembre 1858 ottenne il libretto di lavoro (è scritto in italiano e francese, risaliva a Carlo Felice!): sapeva leggere e scrivere, si sottoscriveva.
Sottrattosi alla campagna, iniziò l’attività di ferragliere:  ramo de’ fabbri che s’esercita in lavori minuti e in acconciare graticole, padelle e altri utensili così fatti – come si legge nel Dizionario delle arti e mestieri di Griselini e Fassadoni, Venezia, 1769.
Divenne un limatore e montatore di vaglia e lavorò per le ferrovie (dalla Strada Ferrata Torino-Cuneo alle Officine di Porta Susa a Torino), evidentemente con ottimi risultati, come si legge negli attestati del libretto (con zelo, puntualità e fedeltà). Nuova professione tecnica e non più agricola  in industria nuovissima, quella ferroviaria: da rurale a cittadino, con un notevole salto di qualità, una buona dose di coraggio e fiducia nel progresso.
Giacomo Gabriele si sposò con Maria Teresa Margherita Marocco,  nata a Torino il 31 agosto 1847, figlia di Francesco Marocco e di Camilla Bijno
Francesco Marocco, mio trisnonno, soldato del 4° Reggimento  di  Fanteria, morì il 25 luglio 1848 a Sommacampagna (VR), per ferite riportate in battaglia (Prima Guerra d’Indipendenza); con reale decreto, firmato da Vittorio Emanuele II e controfirmato dal Ministro della Guerra  Generale La Marmora, del 22 marzo 1852, fu assegnata all’orfana la pensione di guerra annua di Lire 175.
A neanche un anno, la mia bisnonna rimase senza il papà, troncato nelle giovanili speranze e caduto poco più che ventenne in una di quelle sanguinose battaglie combattute ripetutamente nella piana padana tra Lombardia e Veneto; battaglie che ispirarono ad Henry Dunant la fondazione della Croce Rossa, dopo l'esperienza stravolta vissuta a Solferino nel 1859, in cui si rese drammaticamente conto delle due facce della guerra: quella celebrata nei bollettini militari e quella misconosciuta del tragico e doloroso abbandono dei feriti e degli agonizzanti.   
* * *  * * *  * * *
Dai grandi libri, dai grandi discorsi alle persone piccole, che insieme a tante altre ci hanno donato l’Italia. 

mercoledì 16 marzo 2011

Ricami (36): Saronno Servizi assente ai pennoni


Nella trepidante attesa per il solenne alzabandiera che il Reggitore municipale presiederà compunto  e discorsivo domani, in piazza Libertà, all’ora della pennichella (le quattordici postmeridiane, orario davvero indovinato per una celebrazione istituzionale), si apprende che la società tutta comunale Saronno Servizi s.p.a. non osserverà il giorno festivo, ma terrà aperti sportelli ed uffici come in un normale dì lavorativo.
Forse che la provvisoria maggioranza si stia tingendo di verde, per non aver indotto il Consiglio d’Amministrazione di questa società comunale – da essa stessa nominato – ad unirsi alla festa per il centocinquantesimo anniversario della proclamazione dell’unità italiana?
O forse la direttiva sindacale di osservare il riposo festivo non ha avuto il tempo di raggiungere Villa Gianetti, sede di Saronno Servizi, per l’imposta lentezza ai veicoli di locomozione, 30 all’ora?
O forse, ancora, Saronno Servizi s.p.a. è un mondo a sé, che ignora la ricorrenza nazionale? Che i suoi amministratori non  parlino con l’ìnclita Giunta? Che sia un segnale di indipendenza, di distacco padanizzante?
Il fatto è che Saronno Servizi s.p.a., il suo Presidente, i suoi Consiglieri, i suoi dipendenti saranno forzatamente assenti alla cerimonia dei pennoni nella piazza grande; quei pennoni, oggi taumaturgicamente rispolverati e messi in ghingheri dagli stessi che sbertucciarono chi scrive allorquando li fece installare: una spesa inutile (così si disse), un’utile occasione di dimostrazione ultrapatriottarda oggi.
Come cambiano le idee! Dal no ai pennoni, agli alzabandiera solenni.
Riconosciamolo: un passo avanti, una conversione patriottica sorprendente; quando fa comodo, anche gli “sprechi” van bene…
Allora abbiamo forse capito: a Saronno Servizi s.p.a. si lavorerà, nonostante il giorno festivo, così da ammortizzare la spesa per i pennoni?
Chissà mai che Giove pluvio si vendichi con tuoni, lampi e scrosci di pioggia… A quel punto, la sindacale maratona oratoria si sposterebbe alle 18.00 a Villa Gianetti, a giornata lavorativa terminata anche per Saronno Servizi s.p.a.
Viva l’Italia!

martedì 15 marzo 2011

Auguri da Unione Italiana Saronno


Unione Italiana, coerente con la sua denominazione, augura a tutti i Saronnesi ed Italiani un felice compleanno del nostro Bel Paese: unito, forte, fermo nei valori della sua storia, delle sue radici, della sua fede, delle sue inimitabili particolarità, che ne costituiscono la più grande ricchezza.
Ad multos annos!

Buon compleanno al Bel Paese

L'Italia una e indivisibile

lunedì 14 marzo 2011

Ricami (35): 16 aprile


Il 15 aprile scadrà il periodo in cui è consentito l'uso dei riscaldamenti (15 ottobre-15 aprile, salvo inclemenze meteoriche).
Dal 16 aprile, si suppone che la qualità dell'aria migliori nettamente, spenti finalmente i termosifoni: è il riscaldamento, infatti, il principale fattore di inquinamento, com'è noto a chiunque, con inoppugnabili prove scientifiche.
Che succederà il 16 aprile? Venuto meno l'apporto inquinante maggioritario, i 30 all'ora resteranno in vigore? Per sicurezza, questa volta? 
Temo che in Piazza Repubblica 7 quest'idea di prorogatio all'infinito sia molto popolare tra i provvisori Reggenti: si sono innamorati dell'Idea, si sono compiaciuti dell'Ideologia che hanno avuto la ventura di applicare.
Peccato che l'ordinanza, anche nella sua forma reiterata, appaia ancora assai carente sotto il profilo della motivazione; l'ordinamento consente alcuni rimedi, dal ricorso al T.A.R. (fin troppo complesso), al ricorso straordinario al Capo dello Stato (tramite il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti): sarà bene incominciare a pensarci seriamente.

Attualità: l'esempio argentino della mediazione civile


Approssimandosi l'entrata in vigore della mediazione civile, pubblico un estratto di un mio lungo studio (*) sulla mediazione in Argentina, unica nazione al mondo in cui la mediazione civile sia obbligatoria dal 1995 e dove è stato raggiunto il notevole risultato di un 50% di controversie risolte appunto con la mediazione, senza ricorrere al Giudice:

"Il modello argentino e quello italiano della mediazione civile partono dallo stesso presupposto fattuale: la profonda crisi della giustizia civile in entrambi gli ordinamenti, che richiedeva imperiosamente urgenti provvedimenti strutturali di riorganizzazione  e riforma endoprocedurale ed extraprocessuale ed un cambio della mentalità comune di approccio all’ammini-strazione della giustizia sia nell’opinione pubblica degli utenti, sia nei comportamenti e nelle abitudini degli operatori, magistrati, avvocati ed ausiliari: l’eccesso di litigiosità, la farraginosità dei procedimenti, l’enorme carico di cause pendenti, il dilatarsi progressivo dei tempi, la rigidità formale impermeabile ai cambiamenti sociopolitici ed economici avevano prodotto una vera e propria paralisi, convertentesi in denegata giustizia, con pesantissimi riflessi sulla vita quotidiana dei cittadini e sul competitivo ed ordinato svolgersi della produzione e dei commerci.
La necessità di deflazionare i Tribunali e di rendere ragionevole la durata dei processi [1] ha quindi influito fatalmente sui Legislatori di entrambi i Paesi per il reperimento di strumenti alternativi per la risoluzione delle dispute, individuati nella mediazione civile obbligatoria: una scelta coraggiosa e lungimirante che, nel caso dell’Argentina, si è rivelata vincente ed esportabile.
Proprio in tal senso si esprimeva nell’agosto 2004 Alejandro Marcelo Nató [2]: “la mediazione è nata in Argentina con la legge 24.572 di mediazione e conciliazione da un lato per decomprimere la giustizia, dall’altro per instaurare un cambio di cultura. Siamo molto vicini all’obiettivo primigenio, che era quello di deflazionare la giustizia. Di fatto, l’Argentina sta già esportando accademicamente nel mondo modalità di approccio ai conflitti. Ossia, esportiamo conflittività, ma siamo anche all’avanguardia sui modi di affrontare i conflitti. Per esempio, siamo molto avanti nella risoluzione di conflitti pubblici e nell’ambito della mediazione pregiudiziale le statistiche sono buone”. Rimarcava Nató: “attualmente, più del 30% dei casi si risolve al di fuori dell’ambito giurisdizionale, una percentuale tutt’altro che disprezzabile. Un’avanzata importante per consolidare l’istituto; ogni giorno in cui la mediazione progredisce, osserviamo che ogni volta c’è una maggior volontà di accordarsi per dirimere le liti  in via pregiudiziale” [3] .
L’obbligatorietà della mediazione, quindi, sulla scorta dell’esperienza argentina, appare un discreto viatico per l’avvìo della riforma in Italia, insieme all’altro, non trascurabile elemento psicologico, l’auspicato cambio di mentalità e di cultura: v’è da auspicare che, come nel Sud America, la radicalità della scelta si tramuti in effettivo beneficio.
La durata del procedimento mediatorio è diversa nei due casi: quattro mesi, non prorogabili, in Italia; due mesi, ma prorogabili sull’accordo della parti, in Argentina; la rigidità italiana appare più coerente e dà una veste di affidabilità all’istituto, per evitare che sia percepito come un ulteriore ostacolo all’accesso alla giustizia, l’ennesima corvée imposta agli utenti per complicare una situazione di per sé già asfittica.
Proprio perché la mediazione è stata concepita come strumento per risparmiare tempo, la proroga consensuale ammessa dalla legge argentina gioca un ruolo demoralizzante sulla credibilità dell’istituto e della sua intrinseca capacità di evitare il dilatarsi dei tempi; una tempistica rigida, inoltre, incide anche sull’organizzazione della mediazione stessa e spinge tutti coloro che ne sono coinvolti (le parti, i mediatori, gli ausiliari-consulenti) ad un impegno adeguato per rispettare i tempi imposti e non rinviabili.
Quanto alla formazione dei mediatori, agli enti formativi ed agli organismi di mediazione, le analogie sono prevalenti.
Ben diversi, per contro,  i requisiti per essere mediatori: in entrambe le nazioni, occorre seguire con profitto un corso preparatorio, ma in Argentina, la mediazione è riservata agli avvocati (purché esercenti da almeno tre anni), in Italia è estesa a chiunque appartenga ad un ordine o collegio professionale ed a chi abbia conseguito una laurea almeno triennale.
La norma argentina appare limitante e restrittiva: se è pur vero che il procedimento mediatorio presuppone una buona conoscenza degli istituti giuridici (prerequisito ovvio in un avvocato), non è sostenibile che solo i legali possano avere un professionalità adeguata; infatti – almeno per alcuni tipi di conflitti – la conoscenza delle norme commerciali, di mercato, della produzione può agevolare la conduzione della mediazione e fomentare l’accordo, poiché il mediatore parla stessa lingua dei contendenti e ne meglio comprende finalità, esigenze (e spesso anche le riserve mentali).
In tal senso, commercialisti, architetti, ingegneri, medici – quantomeno per gli affari che rientrino nelle loro attitudini professionali o nell’ambito di una seria specializzazione – potrebbero svolgere una funzione utile e competente e possedere le nozioni giuridiche sufficienti.
La norma italiana, per contro, appare eccessivamente liberale ed incoerente, poiché consente l’accesso alla professione di mediatore ad una platea enorme di aspiranti, reclutabili in base ad una mera laurea triennale anche in materie completamente aliene dalla cultura giuridica; un corso formativo di cinquanta ore [4] non è certo la panacea risolutrice per la necessaria professionalità, sicché il sistema sembra essere in nuce affetto dal rischio della scarsa attendibilità e credibilità di molti mediatori improvvisati o alla ricerca di uno sbocco professionale.
Solo l’esperienza applicata consentirà di verificare se questi timori siano eccessivi o giustificati; sicuramente, il numero dei rigetti delle richieste di omologazione dei verbali di conciliazione per l’esecutività da parte dei Presidenti dei Tribunali per errori di diritto o contrarietà a norme imperative (cfr. l’art. 12 del D. Lgs. 28/2010) sarà significativo per considerazioni statistiche e di merito.
Sempre nell’ottica di affidare un ruolo decisivo alla categoria degli avvocati nella loro qualità di esperti del diritto, la legge argentina dispone che le parti siano obbligatoriamente assistite da un avvocato nel procedimento mediatorio; la norma italiana nulla dice in proposito, sicché l’assistenza legale è facoltativa e le parti possono comparire anche personalmente e senza difensore. Si tratta di una decisione che ha provocato forti critiche e resistenze nell’avvocatura italiana, che vi ha scorto un tentativo di mortificazione della professione forense ed il rischio di mediazioni compiute in modo superficiale e disinformato.
Effettivamente, la presenza dell’avvocato appare utilissima per il raggiungimento di una conciliazione giuridicamente inappuntabile; la sua competenza tecnica può essere indispensabile per il reperimento e l’agevolazione di soluzioni transattive e perfettamente legittime, nonché per rispettare il dettato costituzionale circa il diritto di difesa come inviolabile per prescrizione del 2° comma dell’art. 24 della Costituzione repubblicana.
Se per questioni bagatellari  l’avvocato può essere ritenuto sovrabbondante, altrettanto non è a dirsi per questioni che, al di là del valore economico, possono investire delicati problemi di diritto e richiedono una competenza specifica e professionale (difficilmente riscontrabile in mediatori che non siano avvocati, com’è consentito dalla legge italiana).
In tal senso, è auspicabile che la legge italiana sia prontamente modificata per rendere obbligatoria l’assistenza legale nei procedimenti di mediazione di maggiore importanza e complessità; il risultato potrebbe essere raggiunto con la previsione di una soglia minima di valore della controversia oltre la quale la presenza del difensore tecnico sia necessaria; previsione non ignota all’esperienza italiana, che conosce esempi vigenti nel diritto positivo (si veda l’art. 82, 1° comma del codice di procedura civile, laddove si prevede che “davanti al Giudice di Pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede € 516,46”): un criterio ragionevole e facilmente estensibile.
Un’altra differenza rimarchevole – questa volta di tecnica legislativa – risiede nelle modalità di individuazione delle materie per cui la mediazione sia obbligatoria:
§  il legislatore italiano ha elencato una serie di controversie sottoposte all’obbligo (art. 5, comma 1., condizione di improcedibilità, D. Lgs. cit.), peraltro non senza ambiguità e difficoltà ermeneutiche;
§  il legislatore argentino ha invece dichiarato generale l’obbligatorietà della mediazione, elencando tassativamente ed organicamente una serie di materie che, eccezionalmente e per motivi evidenti (diritti indisponibili, interesse pubblico),  sono sottratte a quell’obbligo.
La scelta argentina risulta di gran lunga preferibile, sia per la maggiore chiarezza (l’elencazione generica delle materie soggette a mediazione secondo la norma italiana sarà presto oggetto di diatribe interpretative, come si è già visto nei primi commenti dottrinari), sia ai fini dell’organicità e sistematicità del nuovo istituto, ultimamente esteso dalla riforma argentina del 2010 anche alla mediazione familiare quale ulteriore segnale della volontà di istituire un nuovo ordinamento complessivo della giustizia, fondato su due pilastri alternativi e potenzialmente equivalenti ed affidabili:
§  mediazione prejuicial, informale, rapida, compositiva, innovativa, pro bono et aequo;
§  giurisdizione propriamente detta, formale, decisoria, tradizionale, secundum ius.
I due sistemi sono ontologicamente destinati ad essere competitivi; per assicurare l’effettività di concorrenza, l’obbligatorietà della mediazione è condizione imprescindibile, poiché la giurisdizione, ab imis, è dotata imperatività; l’obbligatorietà diminuisce il ricorso ai Giudici e permette, tra l’altro, il soddisfacimento più rapido, se non immediato degli interessi delle parti e fomenta la diffusione tra i cittadini dell’esperienza pratica del principio di autocomposizione  e di autoresponsabilità.
Anche in caso di insuccesso, la mediazione consente ai litiganti di essere più consapevoli dei propri diritti e di avere una visione più realistica e meno aggressiva del thema decidendum: un risultato minimo, forse, ma comportante l’apertura di un dialogo e di impensati canali comunicativi prima dell’instaurarsi del giudizio.
Un’altra differenza apprezzabile consiste nel fatto che la mediazione italiana è sostanzialmente affidata ad organismi privati (con i quali soli le parti hanno un rapporto diretto), mentre in Argentina si distingue la mediazione puramente privata da quella oficiosa per le modalità di scelta del mediatore: nel caso di scelta demandata a sorteggio (sorteo) tramite le cancellerie dei Tribunali in elenchi di mediatori registrati, si ha infatti un carattere di maggiore pubblicità e di garanzia di imparzialità: in questo senso si spiega come le statistiche dimostrino che la mediazione oficiosa raggiunge il 62 % di successi, contro un 40% delle mediazioni private; probabilmente, l’ufficialità rende più autorevoli i mediatori e più affidabile il procedimento, perché nascente in una Corte.
La norma italiana, tuttavia, non poteva prescindere dalla disastrosa situazione delle cancellerie degli Uffici Giudiziari, che difficilmente si sarebbero potute caricare di nuovi còmpiti.
A conclusione, il confronto con la notevole e pluriennale esperienza argentina induce a confidare nel successo del nuovo istituto introdotto nell’ordinamento italiano dal D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28: una rivoluzione possibile, a portata di mano, che tramuta l’ancestrale ed aggressivo spirito litigioso nella facoltà – forse più difficile psicologicamente, ma più conveniente in termini pratici – di una gestione condivisa del conflitto, foriera di ricomposizione delle controversie, di pacificazione sociale e suscitatrice indiretta di uno spirito civico che da ogni parte ci si lamenta difettare tra i caratteri distintivi degli Italiani.
Con alcuni accorgimenti, mutuati dall’esempio argentino, su cui ci si è soffermati supra, il nuovo sistema potrebbe essere ancor più convincente ed attraente" (*).


Note:
[1] Urgenza, quest’ultima, di particolare rilevanza per l’Italia che, in forza di obblighi contratti con l’Unione Europea, è esposta anche economicamente ai sempre più frequenti interventi di condanna della Corte Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, cui  perviene un’imbarazzante massa di richieste di condanna e di risarcimento del danno per la lungaggine delle cause civili.
[2] Alejandro Nató, già Defensor del Pueblo de la ciudad de Buenos Aires (Difensore Civico), membro della Fundación Mediadores en Red  e del Foro Mundial de Mediación, in un intervento sul sito della Fondazione Mediadores en Red, http://www.mediadoresenred.org.ar/publicaciones/nato.html
[3] Ibidem, passim. Le statistiche del 2010 sono ancor più confortanti (cfr. supra, § 4., inizio): La mediación nació en nuestro país con la ley 24.573 de Mediación y Conciliación por un lado para descomprimir la justicia y por otro lado para instaurar un cambio de cultura. Estamos muy adelantados en cuanto a lo que fue el objetivo primigénio, que era descomprimir la justicia. De hecho, Argentina ya está exportando académicamente al mundo enfoques sobre abordaje de conflictos. Es decir, exportamos conflictividad pero también somos vanguardia en cuanto a cómo se encaran los conflictos. Por ejemplo, avanzamos mucho en la resolución de conflictos públicos. Y en el ámbito prejudicial las estadísticas también son buenas. En la actualidad más del 30% de los casos se resuelve fuera del ámbito jurisdiccional, una cifra nada despreciable. Es un avance importante para consolidar el instituto y a medida que avanza la mediación vemos que cada vez hay mayor voluntad de acuerdo para dirimir los conflictos en sede prejudicial” (traduzione dell’Autore).

[4] La formazione dei mediatori argentini richiede la frequentazione di un corso abilitante di cento ore (cinquanta in Italia). In entrambi gli ordinamenti è poi previsto l’obbligo della formazione permanente dei mediatori, che dovranno seguire corsi di approfondimento e di aggiornamento per mantenere la loro abilitazione: obbligo quanto mai opportuno, atteso il vivace dibattito in tema di mediazione, con particolare riguardo agli aspetti di tecnica della mediazione e di psicologia della risoluzione dei conflitti, in continua evoluzione.

[(*) da: Pierluigi Gilli, "La mediazione civile in Argentina: considerazioni e riflessioni de iure condendo"  in  "Temi di mediazione", Università e|Campus, 2011, passim].

Lampi (1): il Trentello


Prorogato il divieto di superare i 30 km all'ora sino al 15 aprile: per consolarci, beviamoci sopra. 
Moderatamente, beninteso: nei limiti del Codice della Strada.
Saronno città del Trentello.
Prosit!
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Inizio con questo post una nuova rubrica, di carattere sostanzialmente grafico ed immediato: un'impressione, un  lampo, appunto, il più delle volte semiserio, ironico e/o sarcastico, senza troppe parole, che - possibilmente - faccia sorridere: perché "ridendo, castigo mores" (o, nelle intenzioni, ci provo)
I lampi uniti al lime, l'esotico limone, il cui succo accomuna freschezza e acidità...
Grazie per la paziente attenzione