lunedì 1 febbraio 2010

Le confessioni di un italiano - Prima puntata


Chi ricorda più Ippòlito Nievo, uomo risorgimentale autore de “Le confessioni di un italiano”?
Anni fa, era un classico della letteratura, inserito in ogni antologia con tutti gli onori; ora non è più di moda, ma forse sarà riscoperto nel 2011, in occasione del centocinquantenario dell’unità nazionale, che toglierà dall’oblìo tanti personaggi , la cui memoria è per lo più affidata alla diffusa toponomastica stradale.
Eppure Ippòlito Nievo fu un uomo di grande valore; mi è tornato in mente proprio oggi mentre leggevo l’editoriale di un noto settimanale saronnese (l’accostamento letterario è ardito, ma… absit iniuria verbis!), che potrebbe a buon diritto essere classificato come le confessioni di un italiano.
Non nel classico confessionale di chiesa, né in quello in auge nella casa del Grande Fratello televisivo, con cui condivide, però, la pubblicità.
Ebbene, riconoscendo una delle proprie peggiori sconfitte, il penitente svela al popolo ìnclito che, “in quel periodo (maggio 2008), la mia analisi , mi portava a considerare politicamente terminata l’esperienza Gilli” (sic: la virgola tra soggetto e verbo non è mia, la trascrivo fedelmente). Prosegue la confessione: “A parere del sottoscritto questa si¬tuazione portava all’impossibilità di proseguire nell’azione politico-amministrativa” sicché “sempre a parere del sottoscritto: venuto meno il rapporto fiduciario, onde non far subire alla Città di Saronno ulteriori umiliazioni ed evitare di perdere ulteriore tempo, il sottoscritto si è fatto promotore dell’unico strumento valido, rivolto ai Consiglieri Comunali, che è la MOZIONE DI SFIDUCIA. Il mio obiettivo era quello di consegnare ai cittadini di Saronno (una volta approvata la mozione di sfiducia) il diritto dovere di esprimere la loro fiducia ad una nuova (ed il sottoscritto si augurava, migliore) Amministrazione. Eravamo al 22 maggio 2008: personalmente iniziai a chiedere ai Consiglieri Comunali eletti di voler aderire all’iniziativa. La mozione non arrivò mai in Consiglio Comunale” (ibidem, passim).
Senza certo permettermi di salire sul pulpito (non è còmpito mio) e con tutto il rispetto per chi non attribuisce significato al fenomeno religioso, mi limito a saggiare la confessione sopra riportata ricorrendo per analogia a quanto dispone in materia la sapiente dottrina canonica.
L’art. 358 del Catechismo di S. Pio X e l’art. 4, VII, § 1450 del Catechismo della Chiesa Cattolica prescrivono che, per fare una buona confessione si richiedono cinque cose: 1° l'esame di coscienza; 2° il dolore dei peccati; 3° il proponimento di non commetterne più; 4° la confessione; 5° la soddisfazione o penitenza.
Orbene, nel caso di specie, mi pare che i cinque requisiti non siano rispettati appieno.
Tralascio l’esame di coscienza, perché presuppone sforzi spirituali insondabili ed intimi; il dolore, invece, mi pare sostituito dal dispetto: quello derivante da una delle proprie peggiori sconfitte.
Del proponimento di non commettere più atti da confessare non v’è traccia; piuttosto, c’è una conclamata recidiva. La confessione, in sé e per sé, sembra esserci: ma è solo parziale ed omissiva (vedremo poi perché).
Quanto alla penitenza… meglio passare ad altro.
Nel mio computer, tra le tante, conservo una cartella contenente molti file relativi all’episodio di cui l’editoriale citato tratta in maniera per forza di cose molto succinta. La mia memoria, perciò, si può appoggiare a documenti di allora – tra cui il mio minidiario quotidiano – per una ricostruzione davvero completa di quanto accaduto, almeno per quanto io allora potei sapere.
Nel maggio 2008, ero rientrato da poco da una lunghissima ed impegnativa assenza di quasi tre mesi a Roma per motivi molto personali; nel frattempo, la vita politico-amministrativa era proseguita ed io intervenivo come potevo, anche partecipando alle sedute della Giunta da lontano, in teleconferenza. Mi era sembrato che, comunque, tutto procedesse tranquillamente, anche per comprensione della mia forzata lontananza; confidavo che fossero stati superati i continui confronti tra l’Amministrazione (Sindaco e Giunta), da una parte, e una frazione di Consiglieri Comunali di maggioranza, dall’altra, che, a intermittenza, lamentavano (nei ritagli di tempo dedicati all’amministrazione) di non essere sufficientemente informati dei provvedimenti da portare in Consiglio Comunale.
La questione che fece scoppiare le ostilità accadde il 13 maggio 2008: la Giunta aveva predisposto con rapidità gli argomenti da porre all’o.d.g. del Consiglio Comunale del 26 maggio al termine della sua seduta ordinaria pomeridiana, sulla scorta delle indicazioni pervenute dagli Uffici. Occorreva tempestività, in considerazione delle scadenze imposte dalla legge per l’imminente presentazione del conto consuntivo. Gli argomenti erano stati ritenuti dalla Giunta assolutamente “ordinari”, poiché costituivano, in gran parte, la necessaria esecuzione di quanto previsto dal bilancio, approvato da poco, del tutto chiari e non bisognosi di alcuna discussione preliminare, in quanto ben noti a tutti, trattati in (poco affollate) riunioni di maggioranza e mai contraddetti da alcun Consigliere Comunale.
Non partecipai direttamente, dunque, alla seduta dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Comunale – sostituito dal Vice Sindaco – poiché non avevo dubbio alcuno sull’esito tranquillo e positivo dello stesso.
La mattina del giorno seguente, fui informato con molto imbarazzo che, contro ogni previsione, tre punti dell’o.d.g. erano stati espunti su richiesta di due influenti Capigruppo di maggioranza, sulla base di argomentazioni incomprensibili. I tre punti accantonati erano assolutamente preliminari ed urgenti perché l’Amministrazione potesse raggiungere gli obiettivi stabiliti dal Consiglio Comunale in sede di approvazione del bilancio; proprio per questa esigenza, considerai inaccettabile l’atteggiamento dei Capigruppo, che – seppure pienamente edotti – non avevano esitato a mettere in difficoltà l’Amministrazione e la maggioranza, anziché rinviare a colloqui successivi gli approfondimenti ritenuti opportuni.
Facendo ricorso alla facoltà attribuita al Sindaco dal Regolamento del Consiglio Comunale, chiesi al suo Presidente di inserire comunque i tre punti all’o.d.g., perché urgenti ed indispensabili.
Per tutta risposta, due Capigruppo renitenti si attribuirono un inesistente potere di interdizione nei confronti del Sindaco, mettendo in dubbio che il Sindaco stesso (e, per suo tramite, la Giunta) avesse la capacità di valutare se un argomento fosse o meno urgente; addirittura, qualificarono di illegittimo l’inserimento di questi tre punti nell’o.d.g., apostrofando Presidente del Consiglio e Sindaco come autori di atti illegittimi. Esempio preclaro di usurpazione di funzioni e di significativa dimenticanza di quello che è invece il potere indiscutibile di tutti i Consiglieri Comunali: quello di non approvare le delibere proposte dalla Giunta, in una votazione pubblica, dopo una discussione pubblica, in cui ognuno si assume le proprie responsabilità se non è d’accordo e motiva adeguatamente davanti a tutti.
Invece di scegliere la strada della discussione aperta e leale, con il concorso esterno di un non-Consigliere Comunale oggi confesso (autorevole fin che si vuole, ma istituzionalmente rappresentante di nessuno, se non di una lobby autoreferenziale), quei due potenti Capigruppo si diedero alla raccolta delle 16 fatali firme di Consiglieri Comunali necessarie per sfiduciare il Sindaco del loro stesso partito e maggioranza e provocare così la dissoluzione anticipata dell’Amministrazione.
Oggi sappiamo, con la forza della confessione, che solo due Consiglieri di minoranza non si prestarono al giuoco al massacro, nell’ombra e nel segreto, sicché si possono fare bene i conti; per arrivare a 16 firme, ne occorrevano 12 della minoranza più almeno 4 della maggioranza; il risultato non fu raggiunto, sicché, tolti i due Consiglieri di minoranza che si rifiutarono, c’è da arguire che i Consiglieri dissenzienti di maggioranza fossero meno di 6, al massimo 4 (ma probabilmente meno: tranne due, i promotori, forse un altro paio si sarebbe aggiunto, una volta avuta la certezza dell’appoggio dell’opposizione al gran completo).
4 (o forse 2) su 19 costituenti la maggioranza: sarebbe questo il venir meno del rapporto fiduciario (con chi? Con Lui?), di cui sorprendentemente mena vanto il non-Consigliere Comunale così proclive a destabilizzare sempre di tutto e di più?
Sono stato troppo lungo; continuerò in una prossima puntata; intanto mi rileggo i documenti di allora, per rinfrescarmi la memoria (anche se, a dire il vero, non ce n’è bisogno).
A presto.

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