lunedì 14 marzo 2011

Attualità: l'esempio argentino della mediazione civile


Approssimandosi l'entrata in vigore della mediazione civile, pubblico un estratto di un mio lungo studio (*) sulla mediazione in Argentina, unica nazione al mondo in cui la mediazione civile sia obbligatoria dal 1995 e dove è stato raggiunto il notevole risultato di un 50% di controversie risolte appunto con la mediazione, senza ricorrere al Giudice:

"Il modello argentino e quello italiano della mediazione civile partono dallo stesso presupposto fattuale: la profonda crisi della giustizia civile in entrambi gli ordinamenti, che richiedeva imperiosamente urgenti provvedimenti strutturali di riorganizzazione  e riforma endoprocedurale ed extraprocessuale ed un cambio della mentalità comune di approccio all’ammini-strazione della giustizia sia nell’opinione pubblica degli utenti, sia nei comportamenti e nelle abitudini degli operatori, magistrati, avvocati ed ausiliari: l’eccesso di litigiosità, la farraginosità dei procedimenti, l’enorme carico di cause pendenti, il dilatarsi progressivo dei tempi, la rigidità formale impermeabile ai cambiamenti sociopolitici ed economici avevano prodotto una vera e propria paralisi, convertentesi in denegata giustizia, con pesantissimi riflessi sulla vita quotidiana dei cittadini e sul competitivo ed ordinato svolgersi della produzione e dei commerci.
La necessità di deflazionare i Tribunali e di rendere ragionevole la durata dei processi [1] ha quindi influito fatalmente sui Legislatori di entrambi i Paesi per il reperimento di strumenti alternativi per la risoluzione delle dispute, individuati nella mediazione civile obbligatoria: una scelta coraggiosa e lungimirante che, nel caso dell’Argentina, si è rivelata vincente ed esportabile.
Proprio in tal senso si esprimeva nell’agosto 2004 Alejandro Marcelo Nató [2]: “la mediazione è nata in Argentina con la legge 24.572 di mediazione e conciliazione da un lato per decomprimere la giustizia, dall’altro per instaurare un cambio di cultura. Siamo molto vicini all’obiettivo primigenio, che era quello di deflazionare la giustizia. Di fatto, l’Argentina sta già esportando accademicamente nel mondo modalità di approccio ai conflitti. Ossia, esportiamo conflittività, ma siamo anche all’avanguardia sui modi di affrontare i conflitti. Per esempio, siamo molto avanti nella risoluzione di conflitti pubblici e nell’ambito della mediazione pregiudiziale le statistiche sono buone”. Rimarcava Nató: “attualmente, più del 30% dei casi si risolve al di fuori dell’ambito giurisdizionale, una percentuale tutt’altro che disprezzabile. Un’avanzata importante per consolidare l’istituto; ogni giorno in cui la mediazione progredisce, osserviamo che ogni volta c’è una maggior volontà di accordarsi per dirimere le liti  in via pregiudiziale” [3] .
L’obbligatorietà della mediazione, quindi, sulla scorta dell’esperienza argentina, appare un discreto viatico per l’avvìo della riforma in Italia, insieme all’altro, non trascurabile elemento psicologico, l’auspicato cambio di mentalità e di cultura: v’è da auspicare che, come nel Sud America, la radicalità della scelta si tramuti in effettivo beneficio.
La durata del procedimento mediatorio è diversa nei due casi: quattro mesi, non prorogabili, in Italia; due mesi, ma prorogabili sull’accordo della parti, in Argentina; la rigidità italiana appare più coerente e dà una veste di affidabilità all’istituto, per evitare che sia percepito come un ulteriore ostacolo all’accesso alla giustizia, l’ennesima corvée imposta agli utenti per complicare una situazione di per sé già asfittica.
Proprio perché la mediazione è stata concepita come strumento per risparmiare tempo, la proroga consensuale ammessa dalla legge argentina gioca un ruolo demoralizzante sulla credibilità dell’istituto e della sua intrinseca capacità di evitare il dilatarsi dei tempi; una tempistica rigida, inoltre, incide anche sull’organizzazione della mediazione stessa e spinge tutti coloro che ne sono coinvolti (le parti, i mediatori, gli ausiliari-consulenti) ad un impegno adeguato per rispettare i tempi imposti e non rinviabili.
Quanto alla formazione dei mediatori, agli enti formativi ed agli organismi di mediazione, le analogie sono prevalenti.
Ben diversi, per contro,  i requisiti per essere mediatori: in entrambe le nazioni, occorre seguire con profitto un corso preparatorio, ma in Argentina, la mediazione è riservata agli avvocati (purché esercenti da almeno tre anni), in Italia è estesa a chiunque appartenga ad un ordine o collegio professionale ed a chi abbia conseguito una laurea almeno triennale.
La norma argentina appare limitante e restrittiva: se è pur vero che il procedimento mediatorio presuppone una buona conoscenza degli istituti giuridici (prerequisito ovvio in un avvocato), non è sostenibile che solo i legali possano avere un professionalità adeguata; infatti – almeno per alcuni tipi di conflitti – la conoscenza delle norme commerciali, di mercato, della produzione può agevolare la conduzione della mediazione e fomentare l’accordo, poiché il mediatore parla stessa lingua dei contendenti e ne meglio comprende finalità, esigenze (e spesso anche le riserve mentali).
In tal senso, commercialisti, architetti, ingegneri, medici – quantomeno per gli affari che rientrino nelle loro attitudini professionali o nell’ambito di una seria specializzazione – potrebbero svolgere una funzione utile e competente e possedere le nozioni giuridiche sufficienti.
La norma italiana, per contro, appare eccessivamente liberale ed incoerente, poiché consente l’accesso alla professione di mediatore ad una platea enorme di aspiranti, reclutabili in base ad una mera laurea triennale anche in materie completamente aliene dalla cultura giuridica; un corso formativo di cinquanta ore [4] non è certo la panacea risolutrice per la necessaria professionalità, sicché il sistema sembra essere in nuce affetto dal rischio della scarsa attendibilità e credibilità di molti mediatori improvvisati o alla ricerca di uno sbocco professionale.
Solo l’esperienza applicata consentirà di verificare se questi timori siano eccessivi o giustificati; sicuramente, il numero dei rigetti delle richieste di omologazione dei verbali di conciliazione per l’esecutività da parte dei Presidenti dei Tribunali per errori di diritto o contrarietà a norme imperative (cfr. l’art. 12 del D. Lgs. 28/2010) sarà significativo per considerazioni statistiche e di merito.
Sempre nell’ottica di affidare un ruolo decisivo alla categoria degli avvocati nella loro qualità di esperti del diritto, la legge argentina dispone che le parti siano obbligatoriamente assistite da un avvocato nel procedimento mediatorio; la norma italiana nulla dice in proposito, sicché l’assistenza legale è facoltativa e le parti possono comparire anche personalmente e senza difensore. Si tratta di una decisione che ha provocato forti critiche e resistenze nell’avvocatura italiana, che vi ha scorto un tentativo di mortificazione della professione forense ed il rischio di mediazioni compiute in modo superficiale e disinformato.
Effettivamente, la presenza dell’avvocato appare utilissima per il raggiungimento di una conciliazione giuridicamente inappuntabile; la sua competenza tecnica può essere indispensabile per il reperimento e l’agevolazione di soluzioni transattive e perfettamente legittime, nonché per rispettare il dettato costituzionale circa il diritto di difesa come inviolabile per prescrizione del 2° comma dell’art. 24 della Costituzione repubblicana.
Se per questioni bagatellari  l’avvocato può essere ritenuto sovrabbondante, altrettanto non è a dirsi per questioni che, al di là del valore economico, possono investire delicati problemi di diritto e richiedono una competenza specifica e professionale (difficilmente riscontrabile in mediatori che non siano avvocati, com’è consentito dalla legge italiana).
In tal senso, è auspicabile che la legge italiana sia prontamente modificata per rendere obbligatoria l’assistenza legale nei procedimenti di mediazione di maggiore importanza e complessità; il risultato potrebbe essere raggiunto con la previsione di una soglia minima di valore della controversia oltre la quale la presenza del difensore tecnico sia necessaria; previsione non ignota all’esperienza italiana, che conosce esempi vigenti nel diritto positivo (si veda l’art. 82, 1° comma del codice di procedura civile, laddove si prevede che “davanti al Giudice di Pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede € 516,46”): un criterio ragionevole e facilmente estensibile.
Un’altra differenza rimarchevole – questa volta di tecnica legislativa – risiede nelle modalità di individuazione delle materie per cui la mediazione sia obbligatoria:
§  il legislatore italiano ha elencato una serie di controversie sottoposte all’obbligo (art. 5, comma 1., condizione di improcedibilità, D. Lgs. cit.), peraltro non senza ambiguità e difficoltà ermeneutiche;
§  il legislatore argentino ha invece dichiarato generale l’obbligatorietà della mediazione, elencando tassativamente ed organicamente una serie di materie che, eccezionalmente e per motivi evidenti (diritti indisponibili, interesse pubblico),  sono sottratte a quell’obbligo.
La scelta argentina risulta di gran lunga preferibile, sia per la maggiore chiarezza (l’elencazione generica delle materie soggette a mediazione secondo la norma italiana sarà presto oggetto di diatribe interpretative, come si è già visto nei primi commenti dottrinari), sia ai fini dell’organicità e sistematicità del nuovo istituto, ultimamente esteso dalla riforma argentina del 2010 anche alla mediazione familiare quale ulteriore segnale della volontà di istituire un nuovo ordinamento complessivo della giustizia, fondato su due pilastri alternativi e potenzialmente equivalenti ed affidabili:
§  mediazione prejuicial, informale, rapida, compositiva, innovativa, pro bono et aequo;
§  giurisdizione propriamente detta, formale, decisoria, tradizionale, secundum ius.
I due sistemi sono ontologicamente destinati ad essere competitivi; per assicurare l’effettività di concorrenza, l’obbligatorietà della mediazione è condizione imprescindibile, poiché la giurisdizione, ab imis, è dotata imperatività; l’obbligatorietà diminuisce il ricorso ai Giudici e permette, tra l’altro, il soddisfacimento più rapido, se non immediato degli interessi delle parti e fomenta la diffusione tra i cittadini dell’esperienza pratica del principio di autocomposizione  e di autoresponsabilità.
Anche in caso di insuccesso, la mediazione consente ai litiganti di essere più consapevoli dei propri diritti e di avere una visione più realistica e meno aggressiva del thema decidendum: un risultato minimo, forse, ma comportante l’apertura di un dialogo e di impensati canali comunicativi prima dell’instaurarsi del giudizio.
Un’altra differenza apprezzabile consiste nel fatto che la mediazione italiana è sostanzialmente affidata ad organismi privati (con i quali soli le parti hanno un rapporto diretto), mentre in Argentina si distingue la mediazione puramente privata da quella oficiosa per le modalità di scelta del mediatore: nel caso di scelta demandata a sorteggio (sorteo) tramite le cancellerie dei Tribunali in elenchi di mediatori registrati, si ha infatti un carattere di maggiore pubblicità e di garanzia di imparzialità: in questo senso si spiega come le statistiche dimostrino che la mediazione oficiosa raggiunge il 62 % di successi, contro un 40% delle mediazioni private; probabilmente, l’ufficialità rende più autorevoli i mediatori e più affidabile il procedimento, perché nascente in una Corte.
La norma italiana, tuttavia, non poteva prescindere dalla disastrosa situazione delle cancellerie degli Uffici Giudiziari, che difficilmente si sarebbero potute caricare di nuovi còmpiti.
A conclusione, il confronto con la notevole e pluriennale esperienza argentina induce a confidare nel successo del nuovo istituto introdotto nell’ordinamento italiano dal D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28: una rivoluzione possibile, a portata di mano, che tramuta l’ancestrale ed aggressivo spirito litigioso nella facoltà – forse più difficile psicologicamente, ma più conveniente in termini pratici – di una gestione condivisa del conflitto, foriera di ricomposizione delle controversie, di pacificazione sociale e suscitatrice indiretta di uno spirito civico che da ogni parte ci si lamenta difettare tra i caratteri distintivi degli Italiani.
Con alcuni accorgimenti, mutuati dall’esempio argentino, su cui ci si è soffermati supra, il nuovo sistema potrebbe essere ancor più convincente ed attraente" (*).


Note:
[1] Urgenza, quest’ultima, di particolare rilevanza per l’Italia che, in forza di obblighi contratti con l’Unione Europea, è esposta anche economicamente ai sempre più frequenti interventi di condanna della Corte Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, cui  perviene un’imbarazzante massa di richieste di condanna e di risarcimento del danno per la lungaggine delle cause civili.
[2] Alejandro Nató, già Defensor del Pueblo de la ciudad de Buenos Aires (Difensore Civico), membro della Fundación Mediadores en Red  e del Foro Mundial de Mediación, in un intervento sul sito della Fondazione Mediadores en Red, http://www.mediadoresenred.org.ar/publicaciones/nato.html
[3] Ibidem, passim. Le statistiche del 2010 sono ancor più confortanti (cfr. supra, § 4., inizio): La mediación nació en nuestro país con la ley 24.573 de Mediación y Conciliación por un lado para descomprimir la justicia y por otro lado para instaurar un cambio de cultura. Estamos muy adelantados en cuanto a lo que fue el objetivo primigénio, que era descomprimir la justicia. De hecho, Argentina ya está exportando académicamente al mundo enfoques sobre abordaje de conflictos. Es decir, exportamos conflictividad pero también somos vanguardia en cuanto a cómo se encaran los conflictos. Por ejemplo, avanzamos mucho en la resolución de conflictos públicos. Y en el ámbito prejudicial las estadísticas también son buenas. En la actualidad más del 30% de los casos se resuelve fuera del ámbito jurisdiccional, una cifra nada despreciable. Es un avance importante para consolidar el instituto y a medida que avanza la mediación vemos que cada vez hay mayor voluntad de acuerdo para dirimir los conflictos en sede prejudicial” (traduzione dell’Autore).

[4] La formazione dei mediatori argentini richiede la frequentazione di un corso abilitante di cento ore (cinquanta in Italia). In entrambi gli ordinamenti è poi previsto l’obbligo della formazione permanente dei mediatori, che dovranno seguire corsi di approfondimento e di aggiornamento per mantenere la loro abilitazione: obbligo quanto mai opportuno, atteso il vivace dibattito in tema di mediazione, con particolare riguardo agli aspetti di tecnica della mediazione e di psicologia della risoluzione dei conflitti, in continua evoluzione.

[(*) da: Pierluigi Gilli, "La mediazione civile in Argentina: considerazioni e riflessioni de iure condendo"  in  "Temi di mediazione", Università e|Campus, 2011, passim].

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