mercoledì 20 maggio 2009

Aceto di fiori


Maggio è il mese delle rose, profumato e portatore di lusinghe e mollezze di un’estate ormai prossima.
Dai petali di rosa, il fiore per antonomasia, di trae una preziosa essenza, usata per profumi, eau de toilette, saponi, ma anche per gentili liquori e rosoli.
Non sapevo che se ne traesse anche l’aceto, ma mi sono dovuto ricredere leggendo una melodiosa omelia, in cui – tra gl’incensi incantatori – si tratta anche d’aceto, senza rivelarne la ricetta.
Un simile conoscitore ne possiede naturaliter o per esogena ispirazione gli arcani segreti, di cui io non sono partecipe; sicuramente, da vero intenditore, sa misurare il grado di acidità fino ai massimi raggiungibili – e ben raggiunti. Dev’essere un aceto imbottato da tempo, per un lungo affinamento, un aceto ancien – anzi: très vieux -, una mirabile grande réserve, dagli effetti balsamici, anche se brucia.
Da quasi Sindaco emerito purtroppo sofferente di acidità di stomaco, mal tollero l’aceto; come condimento, preferisco il limone, quello ben spremuto e poi buttato diligentemente nel piccolo contenitore dell’umido.
I resti, per reazione chimica, si trasformeranno in fertilizzante biologico, fomento di crescita.
Come i fiori, una volta appassiti e raccolti nel residuo vegetale.
Una nuova funzione, misconosciuta, ma di grande valore.
Fiori, limoni (e aceto, aggiungiamolo pure), in natura servono ancora, dunque; servono, ma non sono servitori e preferiscono il riposo alla dipendenza.
Non sono cortigiani, anche se da cortigiani sono stati circondati in altri tempi.

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