martedì 5 maggio 2009

Se stessi ad ascoltare tutti quelli che parlano di sé stessi…


Uno spigoloso lettore – che non conosco e di cui ometto i riferimenti per rispetto della privacy - mi invia questo sintetico, ma perentorio commento: «Chi dice di star zitto, sta ovviamente mentendo. Ah, "se stessi" si scrive senza accento».
Siccome sono un pedante, specie per la grammatica, sono certo che qualcun altro – non io - stia mentendo: per ben due volte in quindici parole.

Partiamo dalla questione “sé stessi” – “se stessi”.

Illuminante e con l’autorevolezza definitiva che le deriva da secoli di storia l’Accademia della Crusca, riconosciuto nume tutelare della nostra lingua:
“Alcuni, quando il pronome sé è seguito da stesso e medesimo, tralasciano di indicare l'accento, perché in questo caso il se pronome non può confondersi con se congiunzione: se stesso, se medesimo. Noi, però, consigliamo di indicare l'accento anche in questo caso, e quindi di scrivere sé stesso, sé medesimo”.

http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4016&ctg_id=44

Sull’argomento, l’Accademia è tornata con maggiore approfondimento:

“Il pronome tonico riflessivo singolare e plurale sé (“ognuno pensi per sé”; “la guida disse agli escursionisti di portare gli zaini con sé”) richiede l’accento acuto, che va dal basso verso l’alto, da sinistra a destra, ed indica graficamente la pronuncia chiusa della vocale e (ossia il fonema anteriore o palatale medio alto /e/), distinguendosi in tal modo dal se congiunzione (“se te ne vai, avvertimi”) o pronome atono (“se ne andò”).
Riguardo alla possibilità di alternanza tra le forme sé stessi e se stessi, si possono notare due diverse tendenze.Alcuni studiosi evitano infatti in questo caso di indicare l’accento a livello grafico, considerandolo non richiesto in quanto il pronome non può confondersi con il se congiunzione. Tale confusione potrebbe eventualmente generarsi solo estrapolando dal contesto la forma rafforzata se stessi, interpretando stessi come prima o seconda persona singolare del congiuntivo imperfetto del verbo “stare”.
Alla voce “sé” il GRADIT – Grande dizionario italiano dell’uso, ideato e diretto da Tullio De Mauro (Torino, Utet, 2000), presenta quindi i seguenti esempi privi di accento grafico: «adesso è inutile prendersela con se stessi, non gli manca la fiducia in se stesso»; «tradire se stessi». Analogamente, nel Sabatini Coletti – Dizionario della Lingua Italiana (Milano, Rizzoli-Larousse, 2005), alla voce “sé” gli autori notano a lemma, tra parentesi, «si può non accentare prima di stesso, medesimo», inserendo nella voce i seguenti esempi e citazioni d’autore: «per convincere gli altri bisogna prima convincere se stessi»; «in se medesimo si volgea co’ denti (Dante)».
Altri considerano invece opportuno indicare sempre l’accento del pronome tonico riflessivo, scrivendo pertanto sé stesso, sé stessa, sé stessi ecc.
Luca Serianni (Grammatica italiana - Italiano comune e lingua letteraria, Torino, Utet, 1991², p. 57) ritiene, ad esempio, «Senza reale utilità la regola di non accentare sé quando sia seguito da stesso o medesimo, giacché in questo caso non potrebbe confondersi con la congiunzione: è preferibile non introdurre inutili eccezioni e scrivere sé stesso, sé medesimo. Va osservato, tuttavia, che la grafia se stesso è attualmente preponderante […]». In proposito, infine, il DOP - Dizionario d’ortografia e di pronunzia redatto da Bruno Migliorini, Carlo Tagliavini e Piero Fiorelli (Torino, ERI, 1981) osserva (s.v.): «frequenti ma non giustificate le varianti grafiche se stesso, se medesimo, invece di sé stesso, sé medesimo».Svolgendo una breve indagine in diacronia, vediamo che il Tommaseo-Bellini (N. Tommaseo-B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino, Unione tipografico-editrice 1861-1879) riporta negli esempi (s.v.) il pronome rafforzato privo di accento nelle forme se stessa, se stesso, se stessi.
Consultando la LIZ 2001 (Letteratura Italiana Zanichelli, CD-ROM dei testi della letteratura italiana, a cura di Pasquale Stoppelli, Eugenio Picchi, sistema di interrogazione DBT in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Bologna, Zanichelli, 2001) è inoltre possibile osservare che nelle sue opere il Manzoni impiega entrambe le forme. Per se stesso la LIZ riporta infatti 18 contesti, tra i quali il seguente, tratto da Fermo e Lucia (la forma non accentata è tuttavia assente nelle due successive edizioni dei Promessi Sposi): «lecito anzi bello il condannare, cioè quando uno giudica se stesso. Vedete quello che hanno pensato dei loro scritti amorosi – Tomo 2, cap. 1.12»; se stessi vede invece 3 contesti, tutti in Fermo e Lucia, come ad esempio «di quel giorno, non sapendo bene render conto a se stessi se dovessero essere soddisfatti o no, parendo loro che – Tomo 3, cap. 7.29». La forma con accento grave sè stesso occorre in 33 contesti, 1 in Fermo e Lucia, 13 nella “ventisettana”, 14 nella “quarantana”, 5 in Storia della colonna infame. Nell’edizione del 1840 dei Promessi Sposi possiamo ad esempio leggere: «tremava anche per quel pudore che non nasce dalla trista scienza del male, per quel pudore che ignora sè stesso, somigliante alla paura del fanciullo – Cap. 8.67». Al maschile plurale sono attestati 2 contesti, entrambi riguardanti il medesimo passo delle due edizioni dei Promessi Sposi, che qui cito dalla “quarantana”: «I vaneggiamenti degl’infermi che accusavan sè stessi di ciò che avevan temuto dagli altri, parevano rivelazioni – Cap. 32.24». Non c’è invece attestazione per la forma con accento acuto sé stesso, mentre è registrato un solo esempio con sé stessi, tratto dall’opera Il Conte di Carmagnola: «MARCO \ … tutti / I generosi, che giovando altrui / Nocquer sempre a sé stessi, e superate / Tutte le vie delle più dure imprese – At. 1, sc. 5.16».
È noto che la distinzione tra accento grafico grave e acuto era largamente trascurata ancora nel secolo XIX.

In conclusione, sebbene negli attuali testi di grammatica per le voci rafforzate se stesso, se stessa e se stessi non sia previsto l’uso dell’accento, è preferibile considerare non censurabili entrambe le scelte, mancando in realtà una regola specifica che ne possa stabilire il maggiore o minore grado di correttezza. Si raccomanda di tener conto di questa “irrilevanza” specialmente in sede di valutazione di elaborati scolastici e affini.
A cura di Manuela Cainelli, Redazione Consulenza Linguistica Accademia della Crusca

http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=7305&ctg_id=93

Per un’ampia analisi della questione, vedasi anche:

http://it.wikipedia.org/wiki/S%C3%A9_(grammatica)

Io preferisco “sé” sempre accentato, anche davanti a “stesso” e “medesimo”; sono in buona, anzi ottima compagnia e non mento.

Seconda questione: “chi dice di star zitto, sta ovviamente mentendo”.

Palese carenza di comprensione del mio testo, in cui narro che, preso atto di una nuova condizione di silenzio, rispetto all’assedio verbale cui ero abituato, mi sono sorpreso dei benefici che siffatto silenzio concede alla riflessione personale, poiché si ha più tempo.
Ciò non significa “tacere”, tutt’altro; significa, invece, maggiore possibilità di comunicare i frutti delle riflessioni con sé stessi.
Altrimenti, per quale motivo avrei iniziato questo blog? Per… tacere?
Ma forse lo spigoloso lettore gradirebbe che io stessi zitto, è forse un nostalgico del bavaglio. Mi duole deluderlo; se non gradisce, c’è piena di libertà di non consultare il mio blog, dove non mento nemmeno in questo caso.

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