martedì 1 febbraio 2011

Cassazione, Sacra Romana Rota, matrimonio




A margine di un commento letto su una recente sentenza della Corte di Cassazione (SEZIONE I CIVILE, 30 settembre 2010 - 20 gennaio 2011, n. 1343), con una titolazione davvero fuorviante (La Sacra Rota non può annullare il matrimonio di lungo corso):

Continua l'uso improprio e fuorviante dell'espressione "annullamento", che è estranea all'ordinamento canonico.
Secondo questo, infatti, un matrimonio può solo essere "dichiarato nullo", allorquando i tribunali ecclesiastici accertino la presenza di una o più cause di nullità dettagliatamente previste dal Codice di Diritto Canonico. Si dichiara, cioè, che un matrimonio non è mai sorto, in carenza della positiva manifestazione di volontà dei nubendi, nel momento della celebrazione, rispetto all'unico modello di matrimonio, con tutte le sue regole, previsto dall'ordinamento canonico.
La "dichiarazione di nullità", quindi, ha come presupposto un atto invalido ab origine, tamquam non esset. l' "annullamento", per contro, presuppone un atto esistente.
La differenza è profonda.
Per di più, occorre rammentare che la materia matrimoniale "mixta" non è regolata dall'art. 34 del Concordato da Italia e Santa Sede dell'11 febbraio 1929, peraltro citato e riportato nella nota (1) del commento alla sentenza della Suprema Corte 1343/2011: infatti, l'art. 8 dell'Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, ratificato con la legge 25 marzo 1985, n. 121, apportante modificazioni bilaterali al Concordato lateranense, ha profondamente innovato la disciplina della declaratoria di efficacia nell'ordinamento italiano delle sentenze di nullità matrimoniali pronunciate dai tribunali ecclesiastici.
Mentre l'art. 34 del primigenio Concordato rendeva la delibazione un atto pressoché formale da parte della Corte d'Appello italiana, l'art. 8, 2° comma del Concordato modificato dagli Accordi di Villa Madama ha posto alcune importanti condizioni per il riconoscimento italiano delle sentenze ecclesiastiche, tra cui (comma 2, lett. b): che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano; (comma 2, lett. c): che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere.
Dal (quasi) automatismo anteriore, si è passati ad un vero e proprio giudizio di delibazione, poiché gli Accordi di Villa Madama hanno tenuto conto sia dell'intervenuta applicazione in Italia di una nuova Costituzione dal 1° gennaio 1948, dotata di principi fondamentali rigidi e superiori a qualsiasi altra norma, anche pattizia, sia della giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione in punto, la quale aveva già rilevato come le sentenze dei tribunali ecclesiastici fossero delibabili purché non contrastassero con i principi fondamentali dell'ordinamento italiano.
La "novità" della sentenza cit. sta nell'assunzione del "tempo" - inteso come costanza di vincolo matrimoniale da oltre un anno - a principio fondamentale dell'ordinamento, come tale inderogabile.
Senza entrare nel merito, va comunque osservato che, secondo la prospettazione della Suprema Corte, le sentenze ecclesiastiche d nullità matrimoniale si avviano definitivamente ad essere considerate alla stregua di una qualsiasi sentenza straniera ai fini dei controlli di forma e di sostanza necessari per la delibazione.
Il sistema "privilegiato" di cui all'art. 34 del Concordato del 1929 è dunque tramontato, perché - tra l'altro - incompatibile con l'ordinamento costituzionale generatosi dal 1948; per contro, risulta evidente che anche l'art. 8, comma 2. del Concordato rivisto dagli Accordi di Villa Madama, viene sempre più interpretato in modo tale da assicurare anzitutto il rigido rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano.
Non c'è da meravigliarsene; l'evoluzione ermeneutica costituzionale va incontro all'esigenza di "proteggere" e di affermare la prevalenza dei principi fondamentali del nostro ordinamento; per raggiungere questo risultato, si mettono in evidenza le profonde differenze dell'istituto del matrimonio canonico (che è sacramento e, come tale, strettamente ancorato al foro interno dei nubendi) e quello del matrimonio civile (in cui il vincolo interpersonale si unisce intimamente agli aspetti pratici del matrimonio ed ai diritti individuali dei coniugi).
I due ordinamenti perseguono finalità distinte; nell'uno, prevalgono gli aspetti etici e teologici del sacramento (tant'è vero che, nei giudizi davanti ai tribunali ecclesiastici, v'è una "terza parte" obbligatoria, il "difensore del vincolo", che interviene per salvaguardare la validità del sacramento); nell'altro, prevale la tutela delle posizioni soggettive dei coniugi, dei diritti fondamentali anche nei loro aspetti patrimoniali.
Non per nulla, nel comma 3. del cit. art. 8 degli accordi di Villa Madama, si legge che "nell'accedere al presente regolamento della materia matrimoniale la Santa Sede sente l'esigenza di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la dignità ed i valori della famiglia, fondamento della società": una dichiarazione quanto mai saggia ed opportuna da parte della S. Sede, che - resasi conto del mutato assetto sociale - ne ha preso atto, pur senza rinunciare alla propria immutabile dottrina, da valersi - è evidente - sempre più all'interno dell'ordinamento canonico della Chiesa, indipendentemente dai riflessi su quello civile.
L'impressione è che, con l'evoluzione dei costumi e delle sensibilità, ci si sia de facto avviati ad una sostanziale separazione tra le decisioni ecclesiastiche e quelle civili in materia di validità del matrimonio, benché celebrato nelle forme concordatarie, con efficacia anche nell'ordinamento italiano.

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